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A Crevacuore la mostra personale di Cristina Suravi Micheletti
CREVACUORE – L’Associazione Culturale “Il Boggio – Arte, storia e cultura”, che prende il nome da una altura del paese, nata per: “Fare qualcosa per il territorio, per valorizzarlo”, presieduta da Francesca Bruson, sostenuta dal marito Marco e dal figlio Andrea, domenica 1° settembre ha organizzato alla Volta di San Sebastiano, un luogo molto suggestivo, sotto la cupola dell’antica chiesa, oggi sconsacrata, in cui si sono conservati gli affreschi del Tanish e di Giovanni Antonio Orgiazzi il Vecchio, che si possono ammirare da una visuale molto insolita, la Mostra Personale della Pittrice Cristina Suravi Micheletti, artista originaria di Roasio, nata in Nigeria, che da oltre due decenni, aggiunge il nome in sanscrito:‘Suravi’, nel firmare i suoi lavori.
A Crevacuore la mostra personale di Cristina Suravi Micheletti
Gli orizzonti ed i vasti cieli africani hanno influenzato la sua pittura, regalandole colori ricchi e pieni di vitalità. Cristina Suravi Micheletti ha disegnato e dipinto fin da piccola, dimostrando un’innata propensione verso l’arte, assecondata frequentando il Liceo Artistico a Vercelli e poi l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, dove ha ottenuto la licenza di Maestro di Pittura. L’incontro con l’artista giapponese Meera Hashimoto ha impresso una radicale trasformazione al suo approccio verso la pittura e il mondo dell’arte. L’aver vissuto quindici anni negli Stati Uniti, dal 2000 al 2015, dei quali gli ultimi dodici nella penisola di Monterey in California, ha cambiato la sua percezione del mondo: l’America le ha lasciato la capacità di vedere soluzioni e non solo problemi e le ha arricchito la tavolozza di colori mai usati prima. Apre la mostra lo stemma di Crevacuore dipinto dall’artista.
Il Sindaco, Corrado Garlanda, ha portato il saluto dell’Amministrazione, rappresentata anche dal Vice Sindaco, Paola Boccato. Ai tre relatori: Roberta Lenzi, Piera Mazzone e Massimo Rofi, è stato chiesto di parlare della “Forma del colore” e ciascuno ha scelto un filone legato alla propria formazione ed ai propri interessi.
Partendo da un libro della scrittrice Chiara Gamberale: Tutti i colori della vita, illustrato da Valeria Petrone, pubblicato da Feltrinelli nel 2020, Piera Mazzone ha sviluppato il suo intervento, dedicato proprio ai colori della vita: “Cinque personaggi: Fuoco, Pepita, Blues Nonno Carbone, Mister Green, che abitano in una città di nome ‘Senza’, in cinque palazzi all’interno tutti colorati, ma di un colore soltanto, pian piano riescono ad accettare le loro diversità fino a diventare amici, poiché ‘la vita è sempre più matta di noi e si diverte a farci degli scherzi, un giorno proprio lei in persona, la Vita, decise di mandare nell’unica strada di Senza il vento più forte che avesse mai soffiato in tutta la storia del mondo”. Forte è la relazione fra comportamento e colore in sé, e sicuramente a tutti è capitato di chiedersi come sarebbe stata la vita senza colori: sicuramente meno allegra, le diverse tonalità permettono infatti di esaltare le sfumature, dare luce e rendere più bella una persona o un oggetto.
La colorazione influenza anche lo stato d’animo umano ed è proprio per questo motivo che si stanno diffondendo sempre più ampiamente i principi dell’armocromia, ovvero l’analisi del colore personale in base alla tonalità della carnagione, e la cromopsicologia, la scienza che studia l’influenza dei colori sulla nostra psiche. Parlare di colori richiama patologie come il daltonismo, un malfunzionamento delle cellule sensoriali che sono tutte presenti, ma alcune non funzionano correttamente, determinando la mancanza totale o parziale di riconoscimento di specifiche tonalità, o l’agnosia per il colore: un raro disturbo che impedisce di interpretare i colori pur vedendoli. Newton riteneva che il colore fosse un fenomeno misurabile, Goethe era di parere opposto: “Un colore che nessuno guarda non esiste”: non c’è colore senza percezione, senza sguardo umano.
Il Divin Marchese scrisse che Dio è per l’uomo esattamente ciò che sono i colori per un cieco dalla nascita: una cosa impossibile da immaginare. Le tonalità sono fondamentali per i pittori e per l’arte, ma sono anche perfette per rappresentare stati d’animo, emozioni e sensazioni attraverso delle metafore. La purezza, la felicità, la paura hanno la loro tinta caratteristica, che artisti e poeti hanno espresso in vario modo. Non solo i pittori, ma anche i musicisti usano le sfumature colorate per descrivere sensazioni delicate e toccanti: tra gli esempi più noti la celebre canzone di Domenico Modugno: Nel blu dipinto di blu e Azzurro, di Adriano Celentano, Guccini suggerisce: “Immagina questo coperto di grano. Immagina i frutti, immagina i fiori e pensa alle voci e pensa ai colori”. La maestosa Parete gaudenziana di Santa Maria delle Grazie si compie nel 1513: alcuni colori guida scandiscono le sequenze narrative dei tre registri, interrotti al centro dalla Crocefissione. Il bianco è usato da Gaudenzio con rara maestria in alcune scene: è il vuoto, il nulla antecedente la nascita, precedente l’inizio: dall’abito dell’angelo annunciante la nascita di Gesù, all’umanità della passione e della morte di Cristo, alla resurrezione, che annulla le tenebre del sepolcro per iniziare una nuova vita dello spirito e la redenzione dell’umanità dal peccato. Le gamme del nero invece sono associate alle tenebre fisiche e spirituali, circondano il bacio di Giuda e la cattura di Gesù nell’orto degli ulivi, o sfumano nell’inquietante e surreale discesa agli inferi che precede la resurrezione, le tenebre sovrastano la croce facendo risaltare i bianchi angeli piangenti.
Roberta Lenzi ha proposto i “I colori nella storia”, citando Michel Pastoreau, uno dei massimi studiosi del colore, che lei conobbe personalmente alla presentazione del prezioso: “Il piccolo libro dei colori”, un invito a districarsi nel labirinto simbolico delle tinte. Dai dipinti delle grotte di Lascaux e di quelle di Altamira, il colore veniva utilizzato per trasmettere esperienze ed emozioni. Nell’antichità il sistema simbolico ruotava attorno a tre colori: bianco incolore, nero sporco e rosso colorato. La storica, attraverso le immagini, ha mostrato l’evoluzione nell’utilizzo e nell’interpretazione dei colori: a Roma i “candidati” indossavano una toga candida, così come le vestali: “La Roma imperiale era marmorea, e questa immagine fu riproposta dal fascismo. La dialettica bianco/nero si riflette anche negli abiti dei religiosi: bianchi i cistercensi, neri i benedettini”.
Il rosso era il colore per eccellenza: la porpora si ricavava dal murex, che fece la fortuna dei commercianti Fenici, ma il rosso è anche il colore del sangue di Cristo e dei martiri, nella Rivoluzione Francese il berretto frigio divenne un simbolo. Il verde è un colore che ha avuto grande fortuna: zone verdi, numeri verdi, benzina verde, treni verdi, partito dei Verdi, cassonetti spazzatura, ma è anche il colore del denaro. In teologia è il colore delle domeniche comuni, per il mondo musulmano è un colore sacro. Il nero passa dal lutto all’eleganza: Lutero vestiva di nero, così come Carlo V e Filippo II.
Nera era la bandiera dei pirati, ma anche quella dell’anarchia. Il giallo reca come zavorra gli attributi dell’infamia, è l’estraneo, l’apolide, quello di cui si diffida: le foto che svaniscono, le foglie che muoiono, gli uomini che tradiscono, la stella gialla degli ebrei. Il colore dello zolfo è associato al diavolo, ma è anche uno dei simboli degli Impressionisti: pensiamo ai campi di grano e ai girasoli di Van Gogh, ma oggi si è trasformato nel colore della rivolta dei “Gilet Jaunes”. Il blu, definito da Pastoreau: “colore gattamorta”, è “un colore che si mimetizza che non vuole farsi notare”. I colori liturgici si formarono in età carolingia: bianco rosso nero verde, ignoravano il blu. Solo nel XII- XIII secolo si riabiliterà il blu attraverso la Vergine con un manto o una veste azzurra: anche il re di Francia si vestirà di quel colore, che secoli dopo diventerà il colore dell’Europa e dell’ONU.
Per colorare le vetrate della chiesa di Saint Denis si userà il cafro, che molto più tardi si chiamerà blu cobalto e a Chartres diventerà il famoso blu di Chartres. Il guado, oro blu, verrà rimpiazzato dall’indaco, importato dalle Antille e dall’America, con cui il sarto ebreo Levi Strauss tinse la tela della tuta da lavoro, creando i blue jeans, che negli anni Trenta diventeranno indumento per il tempo libero e negli anni Sessanta si trasformeranno in simbolo della ribellione all’ordine borghese. Roberta Lenzi ha concluso citando la Bandiera della Pace, il drappo con i colori dell’arcobaleno, tra i simboli più utilizzati in tutto il mondo da vari movimenti pacifisti. In Italia, è stata usata per la prima volta durante la prima edizione della marcia per la Pace Perugia-Assisi del 1961, da Aldo Capitini, fondatore del Movimento Nonviolento.
L’architetto Massimo Rofi con “I colori architettonici” ha affascinato il pubblico presentando e commentando immagini molto particolari che hanno stimolato interesse e curiosità. Dopo aver presentato alcuni esempi di come non bisogna usare i colori in architettura, ha ricordato come il Partenone, che oggi vediamo bianco, in realtà fosse policromo, mostrato le vetrate che filtrano la luce delle cattedrali gotiche, da Canterbury a Chartres, al Duomo di Milano, i colori forti del barocco nel Palazzo Reale di Genova, utilizzato per far spiccare la sontuosità degli ori. Dal colore usato come decorazione si passa all’utilizzo per la riconoscibilità dal mare, ai contrasti di Bergen, ai padiglioni blu della fiera di Genova, al chilometro rosso di Bergamo: “L’architettura è indipendente dal colore, perché l’architetto deve definire lo spazio, non rinchiudere”. Il termine anamorfosi viene dal greco anamórphosis, ricostruzione della forma, e indica un particolare effetto di illusione ottica per cui l’immagine distorta diventa riconoscibile solo da una precisa posizione: tutto ha inizio nel Quattrocento con la tecnica del sotto in su. Questo accorgimento pittorico si avvale di finte architetture che svaniscono in uno sfondo naturalistico e ci offrono l’illusione ottica di una profondità prospettica inesistente. Gli artisti danno vita a composizioni sempre più elaborate, monumentali, che incantano ed emozionano l’osservatore. Rofi ha citato Peeta, nome d’arte di Manuel di Rita, un artista, pittore e scultore italiano, noto per i suoi murali realizzati con la tecnica del graffitismo a effetto tridimensionale anamorfico, che provoca il senso dell’illusione ottica, Edgar Müller è un pittore di strada tedesco, noto per i suoi effetti illusionistici tridimensionali, e molti esempi di pubblicità di anamorfismo digitale.
Al termine della serata Francesca Bruson ha fatto omaggio a ciascun relatore del volume: “La Croce Rossa Italiana nei diari e nella vita”, curato da Lelia Zangrossi, scrittrice e ricercatrice, Vice Presidente dell’Opera Pia Sella di Mosso (Valdilana). Il Diacomo Don Pier Luciano Garrone, che è tra gli organizzatori dell’incontro, ha ringraziato Francesca Bruson e i relatori per aver offerto lo spunto per nuovi approfondimenti.
Si raccontava che ci fosse un tesoro nascosto ai piedi dell’arcobaleno: è vero, là, nel crogiolo dei colori, c’è uno specchio magico che rivela i nostri gusti, le nostre avversioni, i nostri desideri, le nostre paure, i nostri pensieri reconditi, svela cose essenziali sul mondo e su noi stessi.
Piera Mazzone
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