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A villa Caccia WoodArc: sfidare l’equilibrio in cerca della verticalità

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ROMAGNANO – I primi costruttori la chiamavano «chiave di volta» ed era quella pietra posizionata al centro di un arco che costituiva l’elemento fondamentale per la tenuta dell’intera struttura, senza la quale tutto sarebbe crollato. Bisogna tenere bene a mente questo concetto mentre si parla di WoodArc, la nuova mostra ospitata in Villa Caccia, ideata e realizzata da Raffaele Salvoldi, grignaschese di 33 anni, di professione direttore della fotografia. Innanzitutto, il titolo WoodArc, che dà il nome all’intero progetto artistico che a oggi realizza laboratori con le scuole, ne da una perfetta sintesi: «wood» quindi legno e «architettura», perché di fatto si tratta di costruzioni fatte di mattoncini. Ma così è dire ancora troppo poco, qui la chiave di volta è proprio Raffaele Salvoldi, che «fa stare tutto in piedi» che ho avuto il piacere di rincontrare per poter parlare con lui di questa sua nuova ossessione maturata, come spesso accade, durante un periodo complicato.

Era l’autunno del 2020 ed eravamo alle prese con un lockdown che cominciava a pesare su alcuni settori lavorativi, tra cui i liberi professionisti, come Raffaele: «Ero a casa e come tanti non avevo nulla da fare: il lavoro era fermo, ero parecchio stressato. Poi mia sorella, autrice e storyteller, mi ha chiesto di collaborare a uno spettacolo: avrei dovuto accompagnare un monologo costruendo un qualcosa con dei mattoncini di legno, gli stessi con cui giocavo da bambino. Lì poi c’è stato il clic». Facile immaginare cosa sia successo da lì a poco, difficile però aspettarsi una crescita tanto esponenziale: «A un certo punto non mi bastava neanche più il mio soggiorno. I mattoncini erano raddoppiati e le mie costruzioni sempre più alte e complesse. Ho iniziato a pubblicarle sui social e lì ho cominciato a ricevere diversi apprezzamenti». Il tutto sempre partendo dallo stesso modulo: un parallelepipedo in legno di pino marittimo di qualche grammo, perfettamente calibrato e serializzato e prodotto dall’azienda francese Kapla, la stessa che, intuendone il potenziale, ha iniziato a inviare a Raffaele diverse migliaia di mattoncini per sostenere il progetto.

Il dettaglio che rende il tutto ancor più affascinante è che le costruzioni sono realizzate senza l’impiego di colla, ma tramite il solo equilibrio e sulla ricerca del limite che spesso sembra trascendere le leggi della fisica. «La cosa bella» continua Raffaele «è che senza collanti gli stessi mattoncini possono essere utilizzati per creare infinite opere, che rende il progetto sostenibile a tutti gli effetti: dal materiale al concetto di riuso». Perché si, non potendo trasportare i suoi prodotti se non «smontandoli» completamente, Raffaele è costretto, una volta terminate le esposizioni a distruggere tutto. Il che può diventare un processo quasi terapeutico, se a essere coinvolto è il pubblico stesso, come è già successo con precedenti esposizioni di WoodArc. La fine, in questo caso, altro non è che un nuovo inizio perché è proprio in quegli stessi mattoncini che è contenuta in potenza la prossima opera: un processo creativo che l’artista vive in modo intuitivo, quasi naif: «Quando inizio non ho in mente un vero e proprio progetto, mi faccio guidare dalle sensazioni e dall’istinto e a volte questo vuol dire fallire, ma gli errori e i clamorosi crolli insegnano moltissimo, per esempio come il peso si scarica a terra e quanto in alto posso arrivare».

Ecco, la ricerca della verticalità, un elemento che unisce profondamente il lavoro di Raffaele Salvoldi con quello di un archistar ante litteram, vale a dire Alessandro Antonelli: il suo è un nome che ritorna spesso nella nostra chiacchierata, anche perché, caso non proprio vuole, che le prime due mostre di WoodArc siano state ospitate all’interno di due dimore antonelliane: quest’estate a Casa Bossi, nel centro di Novara, e ora a Villa Caccia. E anche in questo caso ecco la chiave di volta: «Entrambe possiedono un fascino antico, che è sopravvissuto al tempo, ma che purtroppo ancora in pochi conoscono e hanno avuto la possibilità di ammirare. Allestirci all’interno una mostra significa ridare vita a questi luoghi che è una parte altrettanto fondamentale del mio progetto che vorrei riuscire a esportare anche in altre case come queste, rianimandole della presenza mia e di nuovi visitatori. Di fatto ora “abito” in Villa Caccia e dalle sue stanze e dal genio dell’Antonelli prendo ispirazione».
Fino alla chiusura della mostra, che si terrà il 20 novembre, Raffaele continuerà a costruire e le opere che, poco per volta, andranno a riempire tutto lo spazio in modo armonico in un dialogo quasi naturale con l’ambiente in cui sono collocate.

Più che una mostra d’arte, statica e immobile, questo potrebbe essere definito un atelier, dove ogni giorno trova spazio la novità ed è in continuo cambiamento, o come la definisce Raffaele «una finestra su un processo creativo». Questo significa che WoodArc richiede più di una sola visita: «L’aspetto più interessante, secondo me, è proprio la costruzione, una fase che vi invito a seguire dal vivo per chiacchierare con me, scambiarci idee e intuizioni. L’invito quindi è quello di venirmi a trovare anche due, tre o dieci volte durante il periodo di apertura o di seguire i miei aggiornamenti sui social dove ogni giorno trasmetto tre ore di diretta. E, naturalmente, di non perdervi il finissage del 20 novembre dove potrete, anzi potremmo perché neanche io ancora so come sarà, vedere l’opera conclusa».

 

Giulia Mina

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