Attualità
Borgosesia intitola i giardini pubblici alla giornalista Lea Schiavi
BORGOSESIA – Domenica, 25 aprile, in occasione delle celebrazioni per l’Anniversario della Liberazione, sono stati intitolati a Lea Schiavi i giardini pubblici di piazza Martiri, di fronte alle Scuole Elementari. Lea Schiavi fu una coraggiosa e attenta reporter politica, nata a Borgosesia nel 1907 e deceduta in circostanze misteriose in Iran nel 1942.
«Lea Schiavi è una donna decisamente fuori dal comune per i tempi in cui è vissuta» spiega il Sindaco, on. Paolo Tiramani. «Fu una delle prime giornaliste italiane a occuparsi di politica, in tempi in cui alle donne erano riservati il gossip, la moda o le rubriche di lettere. Fu tra le prime a esprimere senza timore il suo dissenso verso le politiche non democratiche dell’epoca. Il 25 aprile dedicheremo a lei i nostri giardini, luogo simbolico della Resistenza valsesiana, per ridarle quella centralità nella storia della Resistenza che le fu negata perché non apparteneva a nessun partito antifascista. Lea Schiavi amava la libertà e la democrazia e noi vogliamo ringraziarla per questa sua dedizione e per l’impegno con cui fu testimone dei valori fondanti della nostra Repubblica».
Durante la cerimonia di intitolazione, Alessandro Orsi, presidente dell’Anpi borgosesiana, ha tarttato la figura di Lea Schiavi, il cui nome è inciso sul monumento eretto a Washington in memoria dei giornalisti uccisi mentre esercitavano il loro lavoro di corrispondenti di guerra: «E’ strano pensare che una nostra concittadina, che si spese con passione per contrastare il regime, sia ricordata in America e invece sia stata completamente dimenticata nella sua città natale» aggiunge il Sindaco Tiramani. «Ho parlato con molte persone, e pochissimi avevano sentito parlare di lei e della sua storia. Oggi restituiamo a Lea Schiavi il giusto ricordo: sia intitolandole un luogo fisico, sia riportando la sua storia nella memoria dei valsesiani e della Valsesia, terra che ha espresso figure di spicco nella lotta per la libertà, tra le quali Lea Schiavi trova giustamente il suo posto».
Alla cerimonia presente anche Massimo Novelli, giornalista de «Il Fatto Quotidiano» nonché autore del libro «Lea Schiavi, la donna che sapeva troppo», che ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica questa straordinaria figura femminile.
Alcune note biografiche. Lea Schiavi fu corrispondente a Belgrado e poi in Romania per il quotidiano della sera L’Ambrosiano. I suoi articoli avevano successo, ma visto che non nascose mai le sue opinioni dissenzienti verso il fascismo, il nazismo, l’antisemitismo, ben presto la sua posizione politica la mise in cattiva luce in Italia e, quando rifiutò di rientrare a Milano da Bucarest, venne licenziata dal giornale. A Bucarest conobbe il giornalista americano Winston Burdett, corrispondente della Cbs, che divenne suo marito e con il quale, nel 1940, si trasferì in Turchia da dove iniziò la collaborazione con il periodico americano Transradio Press.
In Turchia Lea si dedicava alla propaganda antifascista presso gli italiani là residenti. L’attività era monitorata dal regime, che sosteneva come la giornalista avesse anche aderito al Free Italy Movement fondato a Londra da alcuni connazionali. Nell’ottobre del 1941 seguì il marito, trasferito dalla Cbs in Iran, e a Teheran contribuì economicamente al sostegno degli italiani rimasti senza mezzi e impossibilitati a rimpatriare. Proprio in Iran, in circostanze mai chiarite, Lea venne uccisa durante un viaggio verso il Kurdistan: l’auto su cui viaggiava insieme ad altre persone fu fermata a un posto di blocco, uno dei sedicenti poliziotti chiese chi degli occupanti della vettura fosse Lea Schiavi e quando lei si fece riconoscere le sparò per poi scomparire nei boschi. Nonostante la corsa verso un vicino convento per cercare soccorso, Lea morì dissanguata e venne seppellita nel cimitero del convento, vicino a Tabriz.
Il marito fece una denuncia alla polizia iraniana, segnalando per la morte della moglie presunte responsabilità di un funzionario dell’Ambasciata italiana ed agente dei Servizi Segreti Militari. Accuse che però non furono mai verificate anche nel 1945 quando Burdett si rivolse alla magistratura italiana ma la pratica venne archiviata.
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