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Erica Deambrosis, che ci ha lasciati quasi alla soglia del novantaseiesimo anno

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SERRAVALLE – “Non vidi mai brughiere / e mai non vidi il mare:/ pure so com’è l’erica, / so quale aspetto ha l’onda. / Non parlai mai con Dio / e non visitai il Cielo, / pure conosco il luogo / quasi ne avessi il biglietto”: questi versi della poetessa statunitense Emily Dickinson, che non ebbe praticamente alcun riconoscimento durante la sua vita (spesso condotta in solitudine), fanno intravedere verticali, spirituali altezze, richiamando la “nostra” Erica Deambrosis, che ci ha lasciati quasi alla soglia del novantaseiesimo anno.

Era nata a Casa Martellone, uno dei “cantoni” dell’allora Comune di Piane Sesia, il 4 novembre 1927, da mamma Angiolina e papà Battista, “Tin”, in una famiglia di grande religiosità. Con i genitori e la sorella Ivonne aveva condiviso una vita semplice, di operoso lavoro, nelle vigne e in campagna. Dal padre, per anni Segretario dell’Azienda Elettrica Pianese e fautore dell’ampliamento del “Dopolavoro”, aveva appreso il senso del dovere e del servizio alla Comunità. Come la pianta da cui è nato il suo nome, che cresce molto lentamente, popolando i boschi con distese sempreverdi che si colorano di pennellate violacee, ed è una pianta piròfita, sopravvivendo agli incendi, Erica si è fatta strada nella vita con tenacia e modestia, lasciando presto il rifugio protettivo della casa per andare a lavorare a Milano e poi a Grignasco, dove, fino al 1985, era stata al servizio di “Monsù” Guglielmo Osella.

Ogni giorno in bicicletta partiva di buonora, attraversava prima la passerella e poi il ponte che collega Serravalle con Grignasco, per presentarsi puntuale al lavoro, dove era molto apprezzata per le sue doti professionali, ma anche per il buon carattere, l’affabilità e la signorilità del portamento. Ogni domenica Erica veniva a messa nella chiesa di San Giacomo: sempre seduta al secondo banco della parte destra della chiesa, tradizionalmente riservata alle signore di Casa Martellone, Franca, Marina, “Minca”, Maria, Irene, Nives, Ivonne, Erica, Angiolina, tutte ormai inghiottite dal tempo che inesorabilmente passa, ma ben presenti nel mio cuore e nei miei ricordi.

Dalla radica d’erica si fanno pipe pregiate, e raro è il miele che le api traggono dai suoi fiori, così preziosa era la memoria di Erica che conservava in ordine la storia del paese e delle generazioni che si sono succedute. Ne avevo avuto prova chiedendole informazioni del Luisin Madunat, l’artista autore della Via Crucis di San Graziano a Grignasco, portata pezzo a pezzo, nella gerla, dalle donne di Martellone. Erica guardava lontano, rivivendo i tempi della sua giovinezza senza rimpianti, ma con la convinzione di avere sempre fatto il suo dovere, tornando poi al presente per rispondermi in maniera precisa e con grande gentilezza, oserei dire affettuosità, avendomi vista nascere e crescere. Fino agli ultimi anni si è occupata del piccolo orto, coltivando con amore verdure e fiori, cibo e bellezza, per dare continuità alla vita e conservare quell’anima contadina, che si va perdendo con la scomparsa di queste ultime persone nate nei primi decenni “dell’altro secolo”.

Adesso, che lassù Ti sei riunita con la Tua famiglia, certo Ti appariranno assai lontane le cose di questa terra, ma sono certa che l’amore per il nostro piccolo mondo si tradurrà in affetto per noi che proseguiamo arricchiti dall’averTi conosciuta.

Piera

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