Attualità
Il sorriso di Mario
Mario Baratelli ha posato pennelli e colori e lasciato una grande tela bianca sul cavalletto, con in filigrana: “Arrivederci”.
Se ne è andato a 85 anni, dopo tanti problemi di salute, accompagnato dal rimpianto per le persone care, per la sua casa, il suo studio, le tante cose alle quali aveva pensato ancora di porre mano.
La sua ultima mostra, “Il banale quotidiano”, era stata inaugurata nel 2018 a Ghemme, presso Spazio E, l’esclusiva galleria d’arte di Enrica Pedretti, che seleziona gli artisti ospiti in maniera molto severa. Quella mostra dal titolo emblematico, organizzata in occasione dei suoi ottant’anni, per me era stata molto importante: Mario mi aveva chiesto una presentazione sul catalogo. Seguivo da anni il suo articolato percorso artistico ed ero affascinata dalla sua straordinaria capacità di evoluzione: era passato dalla Pop Art ad una maggiore libertà espressiva, utilizzando il colore con grande scioltezza, riapprodando all’iperrealismo del quotidiano. Padroneggiava tecniche diverse con eguale maestria, si muoveva agilmente e con leggerezza tra libere pennellate, passando al segno netto e preciso del bulino per realizzare acqueforti e acquetinte, dal “dripping” arrivava ai valori formali della grande stagione post-impressionista. Dai colori a olio, agli acrilici, agli smalti, inseguiva la libertà del gesto e del colore.
Ripensare al suo lungo percorso di mostre sarebbe forse uno sterile esercizio di memoria, sono dati che possono essere facilmente recuperati scorrendo i numerosi cataloghi dai quali riaffiorano i nomi di critici importanti, da Bruno Pozzato che firmò “Inflorescenze” nel 1989, titolo ricercato per una mostra inaugurata nella “sua” Gattinara, nella sede dell’Associazione Culturale, presentato dall’amico pittore Arturo Gibellino, alle mostre a Studio Dieci, illustrate da Angelo Maria Gilardino, in cui espose anche piccoli lavori su carta, che svelavano intuizioni profonde, anticipatrici della mostra: “Disegni”, inaugurata nel chiesuolo di Gattinara nel 1997, antologizzando il suo personalissimo cammino artistico. Dallo scrigno dei ricordi importanti si riaffaccia la grande mostra di Quarona del 1991, presentata dal Maestro Ermanno Zamboni e da Bruno Pozzato e poi: “Case”, esposta nel 1994 a Borgomanero alla Fondazione Marazza e al castello di Vicolungo, presentata da Enzo De Paoli, che evidenziò quel “neorealismo tutto vibrante di colori e di luci che non si fermava davanti al limite della cornice”.
Tra i suoi temi c’erano state le aree industriali e poi le fabbriche antologizzate in mostre dai titoli remoti: Area industriale, Fabbriche e Turno di notte, in cui dominavano le ciminiere, lunghi camini fumanti, testimoni di un lavoro opprimente che un tempo era stato il suo, ma che era riuscito a metabolizzare in un esperienza sovra-personale, rappresentativa di una attività industriale che ha caratterizzato il ventesimo secolo. Quelle mostre esposte in luoghi diversi riscossero sempre un ampio consenso per quel silenzioso, profondo, umanissimo sentimento di appartenenza.
Dalla natura aspra e difficile di Cave, era passato a giardini pieni di fiori, bussando a vecchi portoni che forse non si sarebbero più riaperti: “Oltre il muro, il giardino” fu esposta nel 2009 alla Galleria Sant’Angelo di Biella, città dove allestì la sua prima personale nel 1972.
Si era immerso in una ricerca del tempo perduto recuperando le vecchie osterie, antichi luoghi di socialità, “rilettura contemporanea dei propri ricordi” come scrive Enrica Pedretti nella presentazione del catalogo.
Generoso per natura sapeva trasmettere entusiasmo e soprattutto insegnava a guardare le cose, anche le più umili in un modo diverso: il suo eskimo, o l’impermeabile beige, ma anche le camicie di un bianco abbagliante o le magliette colorate, richiamavano quell’innata eleganza di un signore schivo e discreto, animavano il suo poetico quotidiano che non si riconosceva in un presente immemore.
Restano le sue opere, i suoi pensieri, l’Amicizia e l’affetto che sapeva condividere con generosità, e quel sorriso luminoso che metteva gioia.
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