Attualità
In ricordo di Onorio Mazzone
Onorio Mazzone ci ha lasciati la sera di Pasqua, dopo un breve ricovero all’ospedale di Borgomanero, dove le sue condizioni si erano subito rivelate critiche e i medici non avevano potuto far altro che accompagnarlo senza dolore.
Com’è difficile lasciar andare le Persone, soprattutto quando si vuole loro tanto bene. Onorio aveva compiuto novantasette anni il 3 gennaio, ma da molti mesi ormai era stanco di vivere, riteneva che la sua “missione” fosse ormai compiuta, e desiderava ricongiungersi con le persone care, che l’avevano preceduto: i genitori, la sorella, il fratello Mario, la cognata Coralia. Quando si invecchia il mondo cambia più velocemente di quanto si riesca ad adattarsi, diventa per molti aspetti incomprensibile, i tempi non sono più quelli sui quali si erano cadenzati i giorni della giovinezza e della maturità e le forze vanno scemando.
L’elegante palazzina bianca all’ingresso della Gattera, preceduta dal prato con qualche cespuglio fiorito, aveva ospitato il fratello Mario con la moglie Coralia al secondo piano, mentre Onorio viveva al pianterreno. Dopo la morte del marito, la sorella Nelda si era unita a lui. Silvia, sorella di Coralia e il marito Ferruccio, erano di casa: regnava armonia, amicizia e rispetto: purtroppo il tempo inesorabilmente dirada le file, ma non gli affetti. Onorio non si era mai sposato, ma aveva degli affezionati cugini che non lo avevano mai lasciato solo: Cesarina, la vedova dell’adorato Aldo, Giorgio e la moglie Patty, Cristina e Rossella. Negli ultimi anni godeva della compagnia di Titti, una piccola meticcia presa al canile, vivace e giocherellona.
Oggi, che la vita si è prolungata, spesso occorre farsi aiutare: con grande realismo e lucidità Mario, Coralia e Onorio avevano accolto Patrizia prima e poi Pilar, un giovane donna peruviana che ha sempre un sorriso, negli occhi, cui si era aggiunto il fratello Diego, nelle notti in cui i pensieri vagano e una presenza umana riconduce alla realtà.
Onorio era una persona buona e gentile: “La mia porta è sempre aperta: vieni quando vuoi e quando puoi”: spesso erano visite veloci, ma riportavo sempre con me un pensiero, un gesto affettuoso…e anche un pezzo di storia di questo paese che ho nell’anima. Aveva lavorato per lunghi anni in Cartiera, come quasi tutti un tempo, con un incarico particolare, era addetto al controllo del flusso delle acque che dal canale entravano nello stabilimento e venivano utilizzate per produrre la carta: “Mi piaceva il mio lavoro perché era molto indipendente e soprattutto mi permetteva di stare all’aperto. Finite le mie ore, si lavorava il sabato mattino e qualche volte anche la domenica, ero impegnato nei campi, nel frutteto e nella vigna: con mio fratello Mario siamo sempre andati d’accordo e facevamo tutto insieme”. Mi mancherà quella sosta, vedere la tendina scostarsi e sentire il click del cancelletto…ma nei luoghi restano le presenze amiche, che rivivono nel cuore.
Piera
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