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Inaugurata la mostra d’Arte “Maschere” a Serravalle

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Inaugurata la mostra d’Arte “Maschere” a Serravalle

SERRAVALLE – Domenica 29 settembre al Gufo di pietra è stata inaugurata la mostra d’Arte “Maschere”, ispirata da una poesia inedita di Alda Merini.

Inaugurata la mostra d’Arte “Maschere”

Alda Merini nacque il 21 marzo del 1931 a Milano – il primo giorno di primavera, che dal 1999 l’UNESCO ha dichiarato Giornata Mondiale della poesia – visse la terribile esperienza di ben tre ricoveri in ospedale psichiatrico: la prima all’età di sedici anni, la seconda dal 1964 al 1972 nell’istituto Paolo Pini di Milano, e la terza a Taranto nel 1986 e fu sottoposta ad una quarantina di elettroshock, ma, paradossalmente, dentro l’alienazione estrema germogliò la purezza della parola. Fu il critico letterario e poeta Giacinto Spagnoletti a scoprire le sue capacità poetiche, facendola esordire a quindici anni con alcuni scritti e pubblicandola poi nel 1950 nella sua: Antologia della poesia italiana contemporanea 1909-1949 con “Il gobbo” e “Luce”.

Alda con la famiglia, sfollati da Milano per i bombardamenti, visse a Vercelli. La sua vita fu molto complicata, quattro figlie, che le furono sottratte perché ritenuta incapace di crescerle, tanti amori, importanti, disperati, da Giorgio Manganelli al poeta tarantino Michele Pierri, ma fu sempre drammaticamente sola. Come l’araba fenice risorgeva dalle ceneri, portando: “Una maschera di solarità”.

Il capolavoro della poetessa è la raccolta: “La terra santa”, analogia tra la storia dell’internamento e le vicende del popolo di Dio. In un prezioso volume: “Santo Padre Divina Poesia”, poesie di Alda Merini, illustrazioni di Elvio Marchionni, dedicato al Pontefice Giovanni Paolo II, si esprime l’incontro da poetessa a poeta, da essere umano a essere umano, come lei piegato dal dolore “cibo quotidiano” e dalla malattia, e come lei deciso a resistere e a testimoniare, straordinario compagno di strada che ha scoperto al suo fianco nel proprio tribolato peregrinare, l’artista si confronta con il mistero della diversità.

Piero Ferrarotti in “Maschere” si rapporta alla poetessa, cerca di interpretarne il volto, “vedeva le cose che nessuno vede”, coinvolgendo il pubblico in una straordinaria esperienza artistica a quattro mani: due per l’inchiostro e due per “scrivere con la luce” secondo l’etimologia greca di fotografare. Proseguendo nel suo lavoro sulle “maschere” avviato con l’esposizione alla II Biennale d’Arte Contemporanea Città di Varallo, dove aveva esposto “Dissimulazione”, fotografie stampate su lastre di alluminio in cui le maschere servivano a nascondere, dopo aver incontrato casualmente questa poesia della Merini, ne è stato talmente “impressionato” dal realizzare la serie di fotografie esposte in mostra che non celano, ma rappresentano momenti della vita della poetessa.

Benedetto Mandrone artista e critico d’arte, oltre che amico di Piero Ferrarotti, con il quale intavola interminabili discussioni sul senso dell’arte, premettendo che: “L’arte pura è finita, non esiste più, perché ogni cosa è inserita in un circuito economico”, ha spiegato il complesso lavoro di post produzione racchiuso in ciascuno dei cinque pannelli corrispondenti alle cinque strofe della poesia, invitando a riflettere su questo nuovo e singolare uso dell’immagine fotografica per rappresentare un’identità straordinaria, attraverso il simbolismo della maschera declinata in RGB, i colori primari: red, green, blue, aggiungendo ciano, magenta, giallo e nero per rappresentare i sentimenti dei quali le maschere sono portatrici: “Oggi noi utilizziamo tutti i giorni la maschera che è la tastiera, maschera digitale per comunicare con una maschera virtuale”

La mostra sarà visitabile al Gufo di pietra, Corso Matteotti n. 96, telefonando al numero: 348 -3802892.

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