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Inaugurata la mostra fotografica: “Anca Mi” – Mi vedi a Gattinara

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Inaugurata la mostra fotografica: “Anca Mi” - Mi vedi a Gattinara

L’8 giugno a Gattinara, presso Villa Paolotti è stata inaugurata la mostra fotografica: “Anca Mi” – Mi vedi a Gattinara, prosecuzione di un progetto avviato nel 2022 con la mostra “Sóñ Mi”, in cui il denominatore comune delle persone ritratte è il rapporto forte, talvolta indissolubile, con la città di Gattinara.

Inaugurata la mostra fotografica: “Anca Mi” – Mi vedi a Gattinara

La mostra, composta da quarantaquattro fotografie che ritraggono persone singole, o gruppi familiari, è nata dalle richieste di coloro che avendo visitato la prima, sentendosi profondamente gattinaresi, volevano avere un ritratto fotografico. Da: “Scusi: posso farle una foto?” si passa, in modo assolutamente naturale, a: “Scusi: me la farebbe una foto?”.

Un paese non è fatto solo di strade, case, giardini, ma anche di tradizioni, cultura, lingua e soprattutto dalle persone che ci abitano. Il titolo stesso, anche questa volta scritto in gattinarese, riecheggia il forte legame con il dialetto: Giovanni Petterino, nella didascalia scelta per definirsi, ha utilizzato direttamente il gattinarese, la cartolaia Renata Motto ricorda che lo insegnava ai ragazzi.
Hanno introdotto la mostra Giorgio Caione e Piera Mazzone. Giorgio è rimasto colpito dall’alternanza tra foto e testo scritto, come nel celebre volume di Paul Strand e Cesare Zavattini, “Un paese”, pubblicato da Einaudi nel 1955, con i ritratti delle persone di Luzzara, un paese contadino dell’Emilia, presi uno per uno, messi in posa e ritratti all’aperto, contestualizzati nell’ambiente, sfruttando la luce naturale, mentre le foto di Petterino sono tutte scattate in studio, nelle stesse condizioni di illuminazione.

Alla presentazione era presente anche Gaia Zacchetti, la ragazza il cui ritratto è stato messo in copertina, palese ammiccamento al primo catalogo, in cui apriva il volume Fabio Savini, in comune: una gran testa di capelli naturalmente ricci ed un giovane sorriso. Nella mostra è tangibile il ruolo attivo delle persone ritratte, e lo scambio di emozioni: “Mi hanno donato l’anima”. Realizzare un ritratto è una faccenda bilaterale, uno scambio di attenzione, una comunicazione basata sul contatto visivo. Un bel ritratto ha il potere di comunicare qualcosa dell’animo del soggetto, che può essere capito senza parole da qualcuno che parla un’altra lingua e vive dall’altra parte del mondo: comunicano in un linguaggio semplice e universale.

Il ritratto fotografico è una sfida, un traguardo da tagliare: solo se tutti i “segni” saranno a loro posto si concretizzerà quel “fantasma” che si andava cercando. Renzo non dice “Guarda l’obiettivo”, ma: “Guardami” e chiede ai suoi “soggetti” una forte partecipazione: non ci sono foto rubate, anzi, spesso la posa sfiora il lirismo. Fotografa con l’occhio di un pittore: l’esempio più lampante è l’ultimo dei ritratti pubblicati, quello del geometra Giuseppe Foresto, ripreso nella stessa posizione di un celebre ritratto di Alessandro Manzoni, dipinto a olio su tela dal pittore Francesco Hayez, conservato alla Pinacoteca di Brera.

Per cercare di definire con parole, l’arte fotografica di Renzo Petterino, si possono prendere in prestito quelle di una famosa fotografa, Angela Vigo: “Ecco quello che mi piace fotografare con una bella luce controllata e concentrare tutta l’attenzione , la sensibilità e le capacità tecniche per trovare l’essenza di chi ti sta di fronte… quel momento unico e speciale…trovare l’anima dentro lo sguardo, stabilire il contatto, tirare fuori quello che c’è dentro: il ritratto svela anche quello che non vorresti dire di te stesso”.

Renzo Petterino ha ringraziato l’Amministrazione Comunale che gli ha concesso questi spazi prestigiosi e poi ha raccontato cosa succede quando una persona entra nello studio fotografico: “Non sono tanto fotogenico” è l’affermazione più comune, ma è proprio un falso problema sottolinea: “Per me sono tutti bellissimi”, e ricorda Jimmy Nelson, il fotografo nato in Gran Bretagna, che ha trascorso l’ultimo decennio viaggiando per il mondo e fotografando alcune delle culture indigene più a rischio di estinzione ancora esistenti: “In Amazzonia fotografò tre indigeni di una tribù, le immagini ebbero un enorme successo e riconoscente volle portare loro le foto: lo accolsero, guardarono le foto e poi le gettarono nel falò, non per disprezzo, ma perché non si erano riconosciuti in quei ritratti, non possedendo specchi che riflettessero la loro immagine”.

Giuliano Spinelli ha commentato che questa mostra è ancora più “classica”, della precedente, mantenendo sempre il concetto di “astrazione” e focalizzando l’attenzione sul fondo assolutamente nero, che isola la persona e la mette in risalto, con rigore assoluto.

La mostra, che gode del patrocinio della Città di Gattinara, sarà visitabile fino al 23 giugno nei seguenti orari: sabato e domenica 10/12.30 e 16/19.30, martedì 10/12.30; venerdì 20/22.

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