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La Capannina, una innovazione di un’epoca carnevalesca ormai passata

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GRIGNASCO – Ricordiamo una innovazione di un’epoca carnevalesca ormai passata che non ha avuto un proseguo nel futuro se non come esempio di impegno. Una volta la fagiolata veniva preparata in piazza 1° Maggio. In origine per scaldare i pentoloni si utilizzava la legna, poi, si passò al gas metano grazie all’interessamento di uno dei componenti del comitato, Mario Ferrara.

Certo, era piacevole stare e lavorare in gruppo, ma il lavoro era pesante. Vi era e vi è una componente indesiderata che accompagna da sempre tutte le manifestazioni del Carnevale: il freddo.
Ricordate, per chi era presente alla serata in onore del Mugiun III, quando la cara Silvia Mazzone raccontava del freddo patito durante le sfilate; così ieri come così oggi, il freddo ha sempre fatto da padrone.

Per i volenterosi cuochi del Comitato che, in inverno, fin dalle 6 del mattino, si trovavano all’aperto, sempre in piedi, pronti a intervenire sulla cottura o a stare fermi immobili e rimestare nei pentoloni, questo, oltre ad essere un momento di goliardia, era anche uno di sofferenza e stanchezza estrema. Si lanciò allora l’idea di costruire una capanna dove ognuno avrebbe avuto un momento di tranquillità: avrebbe potuto sedersi e, perché no, riscaldarsi con una stufetta così da ritemprarsi nel fisico, bevendo qualcosa di caldo o un bicchiere di vino.
Venne preparato un progetto di massima e la capanna fu assemblata con il legname di refilo della lavorazione del legno recuperato da Elio Pasteris in Cartiera. La capannina così eretta prese il nome di «alpe del Cardellino».

La porta di entrata era costituita da una coperta militare che, ai suoi due estremi, riportava le scritte «testa» e «piedi». La coperta veniva opportunamente «trattata» da Nelis Vergagni che la poneva sulla groppa di un caprone per almeno un paio di giorni. Immaginatevi il puzzo e le smorfie di chi doveva scostarla per passarvi.

La casetta si avvaleva di una stufetta, tipo parigina, alimentata a gas ma con una caratteristica: se non si abbassava la fiamma prima di aprire la grata, una vampata di fuoco ne avrebbe investito il viso del malcapitato.

La capannina, pardon l’alpe del Cardellino, fece il suo lavoro con efficienza e permise agli assiderati cuochi di ritemprarsi e ben rilassarsi.
La sua fine venne con la nascita della sede e il trasferimento della cottura in piazza Tirondello con un impianto a gas metano certificato.

Il tempo detta i suoi ritmi e abbandona ciò che diviene inservibile. C’è da immaginare che l’ultimo servizio reso dal legno della capannina fu di bruciare in una stufa o in un camino.

 

Gustavo

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