Attualità
Le famiglie storiche della Valsesia: i De Toma
Volentieri pubblichiamo l’articolo che Anna Parish Pedeferri ha scritto in occasione del bicentenario della nascita di Antonio senior ( 26 settembre 1821).
Nell’età d’oro dell’imprenditoria valsesiana, che parte dalla metà circa dell’800 e si conclude sostanzialmente con la fine della seconda Guerra Mondiale, due membri, Antonio padre e Antonio figlio, dei De Toma di Rima ebbero un ruolo primario. Fondamentale per la diffusione dell’arte del marmo artificiale a livello internazionale fu senza ombra di dubbio l’operato di Antonio senior (1821-1895) avviato giovanissimo al lavoro di stuccatore e scagliolista a Monaco di Baviera dai fratelli Viotti.
Per comprendere quanto significativo sia stato il contributo di Antonio De Toma per l’imprenditoria valsesiana di quell’epoca di cui fu propulsore in vari settori, grazie all’enorme ricchezza accumulata per sé e per il proprio paese con il marmo finto, è necessario tornare a quell’atmosfera quasi utopica di una solidale comunità walser qual’era quella di Rima così emblematicamente rappresentata dalla sua figura carismatica e al contempo amorevole, capace di trattare con gli imperatori con la stessa semplicità e onestà con cui trattava con il più umile dei suoi operai.
Egli seppe mettere in risalto le indubbie doti artistiche di stuccomarmista dei suoi compaesani con cui formò una gilda solidissima, aprendo loro le porte ad appalti grandiosi per cui successivamente poterono avviare le proprie imprese di costruzioni come Giovanni e Pietro Axerio Cilies, Pietro Axerio Piazza e i suoi figli Giulio e Antonio a cui si aggiunsero le ditte di Antonio Ragozzi e dei Della Vedova. Antonio iunior (1965-1940), a differenza del padre, visse da uomo ricco, cosmopolita e nobile (ebbe da Papa Pio XI e da Vittorio Emanuele III il titolo di barone); portò avanti con successo le ditte del padre e le attività culturali e filantropiche della Società di Beneficenza e del Circolo d’Italia di cui era presidente nel contesto affascinante e magmatico della Vienna della Bella Epoque e di Budapest e poi in quello più difficile dei grandi mutamenti geopolitici del secolo XIX sino al 1940.
Questa è la premessa di una manciata di aneddoti curiosi che li riguardano e che solo una discendente come la sottoscritta potrebbe riferire. L’idea mi venne quando ritrovai casualmente qualche giorno fa un vecchio numero del Corriere Valsesiano (2 ottobre 1895) quasi interamente dedicato alla figura del bisnonno Antonio in occasione della sua morte. Cito in particolare un lungo paragrafo con il quale si apre una finestra sul mondo dell’800 in cui visse l’umile e geniale Antonio, mondo così drammaticamente diverso dal mondo del ‘900 in cui visse e lavorò il figlio.
Dalle grandi saghe sbocciano nella stube della casa De Toma di Rima i piccoli flash famigliari che riporto qui sotto narratimi dalla zia Annina, la Baronessina De Toma, poetessa e ultima depositaria, insieme alle sorelle Caterina e Annamaria Axerio, della parlata walser di Rima, l’antico tedesco, che confrontava con la sua lingua madre, il tedesco odierno, trattando direttamente con gli studiosi Paul Zinzli e Emil Balmer e con la Baronessa Von Oettinger, una delle prime promotrici dei tradizionali incontri” Walsertreffen”.
«In un estremo lembo di questa nostra cara Valsesia, a 1.400 metri sul livello del mare, la piccola popolazione, quasi una famiglia, del rustico paesello di Rima conosce le vie del mondo e si espande in tutte le contrade, procacciandosi con la sua tenacia, col lavoro e l’industria quei mezzi che la natura della propria patria le ha negato cosicché il villaggio di Rima che conta poco più di 100 abitanti potrebbe servire da modello a molti comuni e paesi d’Italia per l’istruzione che largamente vi s’ impartisce, per l’attività degli abitanti e per le agiatezze che gli abitanti stessi si seppero accumulare non senza usufruire di tutti i vantaggi della vita civile. Ora chi ha procurati questi vantaggi, chi ha maggiormente contribuito a rialzar le sorti di questo alpestre paese, furono pochi industriosi e volonterosi, che animati da una volontà ferrea e da tenaci propositi, osarono nel fior della loro gioventù abbandonare il natio paesello per correre i rischi, i pericoli di un mondo sconosciuto; e fra questi, non ultimo, certo il più audace, il più franco fu Antonio De-Toma….. A undici anni si recò a Monaco in compagnia di alcuni altri suoi compatrioti e colà incominciò modestamente la sua carriera di semplice stuccatore e decoratore. ..non tardò tuttavia a distinguersi fra tutti essendo l’amore dell’arte in lui vivissimo per cui poco ci volle perché lui fosse considerato in questo genere il migliore e fosse di preferenza richiesto per l’esecuzione di importanti lavori. Lungo sarebbe a dire come egli da semplice artista abbia potuto elevarsi così da diventare all’estero una dei principali e più stimati imprenditori delle opere colossali che nel continente del settentrione in questo scorcio di secolo vennero costrutte, e molte delle quali gli furono affidate dalle Corti sovrane di Monaco, di Vienna e di Berlino. E’ noto quanti milioni il povero pazzo re Luigi di Baviera abbia spesi per quel famoso castello e quella villa ariostesca… Ora fu appunto il De Toma l’esecutore di quelle opere. L’attività sua la estese così da accaparrarsi tutti i lavori più grandiosi dalla Svezia, a Berlino a Vienna dove prese fissa dimora, all’Ungheria, a Trieste, a Venezia, a Bukarest e perfino in Russia. E il suo successo fu non solo la fortuna di lui e della sua famiglia, ma la fortuna pur anche de’ suoi compaesani, che ora camminano sicuri e fidenti sulle sue orme».
A grandi linee mi ricordo dei racconti di quando la mia Nonna Marianna (moglie di Antonio) fu salutata per via a Vienna nientemeno che dall’Imperatore Francesco Giuseppe nel 1902; di quando Antonio scendeva in carrozza lungo i viali innevati del Castello di Neuschwanstein, il Castello del Graal (dal 1869 in avanti); di quando lavorò con il giovane figlio nella magione di Herrenchiemsee (dal 1878 in avanti); di quando la madre, Caterina de Paolis e la moglie, Anna Maria Axerio Cilies, di Antonio senior salivano all’alpe Lanciole ammonite da lui: «lasciate andare il minuto interesse del bestiame, avrete una Serva e il fieno prendete ranzini da metterlo dentro. Ne tu ne la madre meglio che vi mischiate a tali fatiche» (lettera del 1861); di quando la bisnonna Anna Maria Axerio andava allo chalet De Toma e si fermava sul terrazzino nel bosco a ricamare – sono suoi i meravigliosi quadri di vedute veneziane ricamati sulla seta e in parte i ricami dei paramenti delle due chiese di Rima (anni ’60 dell’800); di quando, scorrendo insieme alla zia gli splendidi libroni liberty tenuti dal padre che illustravano e descrivevano i maggiori avvenimenti dell’inizio del nuovo secolo, con tutti i personaggi che approdavano a Vienna, artisti, cantanti, poeti, ambasciatori nonché quelli del librone degli ospiti dello Splendidi Park Hotel diretto dal fratello Giovanni (1867-1929) che descriveva i fasti della Varallo del primo ‘900 – lei mi diceva che il Conte Costantino Nigra era presente al suo battesimo (1903) e che lo zio Giovanni aveva avuto come ospite alle sue terme di Varallo Luisa di Sassonia per diversi anni del primo ‘900; di quando la zia mi mostrò il bigliettino di Gustave Klimt del 1892 con cui l’artista prometteva ad Antonio di presentarsi in cilindro e giacca nera la sera in cui doveva raccomandarlo al Rettore dell’Università di Vienna per dipingere una serie di pannelli allegorici per il soffitto dell’Aula Magna dove Il tono del pittore è informale per cui si presume vi fosse un’amicizia pregressa contratta nei cantieri viennesi già dal 1886 (figura 4); di quando mi mostrò orgogliosa una lettera battuta a macchina – il manoscritto non datato era andato perso durante la devastazione della Villa De Toma a Vienna nel 1945 – in cui Gustave Mahler scrivendo alla moglie Alma definisce Brukner e di Brahms compositori da strapazzo, affermando che per lui c’era solo il grande Richard (ADTo).
Anna Parish Pedeferri
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