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“Lucedio. 900 anni di storia”, condensati in un volume di grande pregio editoriale

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“Lucedio. 900 anni di storia”, condensati in un volume di grande pregio editoriale

“Lucedio. 900 anni di storia”: la presentazione del nuovo libro dedicato a Lucedio, è stata fatta a Vercelli, al Museo Borgogna, dove sono ospitate tre grandi e pregevoli pale d’altare dell’antica chiesa, in attesa che sia completato anche il restauro interno.

“Lucedio. 900 anni di storia”, condensati in un volume di grande pregio editoriale

Il libro, nato dal gioco di squadra di dieci autori, stampato dalle Edizioni Effedì di Lorenzo Proverbio, è stato curato per la parte grafica da Stefano Bellotti. Il fotografo Donatello Lorenzo, toscano di nascita, ma piemontese d’adozione, si è occupato di Lucedio dal 2017: “E spero di non aver finito!”.

Dopo i saluti del Presidente del Museo Borgogna, Francesco Ferraris e del Presidente della Provincia di Vercelli, Davide Gilardino, Daniele De Luca, responsabile dell’Ufficio Beni Culturali dell’Arcidiocesi di Vercelli ha coordinato gli interventi dei due curatori: Giorgio Gaietta e Paolo Salvadori di Wiesenhoff, del fotografo, Donatello Lorenzo e dei direttori dei due Musei cittadini, che conservano reperti provenienti da Lucedio: Cinzia Lacchia e Luca Brusotto.

Nella pur ricca bibliografia esistente su Lucedio, cui la Società Storica Vercellese nel 1997 dedicò il terzo Congresso Storico Vercellese: “L’abbazia di Lucedio e l’Ordine Cistercense nell’Italia Occidentale nei secoli XII e XIII”, questo nuovo volume si distingue per l’importanza attribuita alla coltura risicola, che rende unico questo ambiente, distinguendolo da ogni altro. La chiesa e il campanile sono stati salvati dall’imminente crollo, per l’intervento della provincia di Vercelli, grazie alle complesse e delicate trattative intavolate con la famiglia proprietaria dell’azienda agricola e con la Curia vercellese.

Lucedio negli anni Ottanta era in completa decadenza, come testimonia il dossier fotografico che è stato inserito nel volume, oggi migliaia di persone ogni anno possono visitare ed apprezzare questo monumento in mezzo alla campagna. Giorgio Gaietta, già dirigente provinciale, ha espresso tutta la sua soddisfazione per il recupero definito: “Un pezzo del sistema culturale e storico del territorio, che fa parte integrante della fitta rete di relazioni che si è creata tra territorio ed istituzioni museali, frutto della sinergia tra pubblico e privato”. Nel volume sono ampiamente trattati tutti i caleidoscopici aspetti di Lucedio, mostrando la dimensione storica di questo evento che cambiò completamente l’aspetto del nostro territorio, offrendo il primo esempio di sistemazione irrigua dell’agro vercellese: storia, ambiente, economia, aspetto sociale, religioso, monumentale e architettonico. I monaci cistercensi, provenienti da La Ferté in Borgogna, novecento anni fa bonificarono la foresta planiziale, che allignava sulle terre donate da Ranieri, marchese di Monferrato, costruirono l’abbazia e crearono un’azienda agricola che ha mantenuto nei secoli la sua identità risicola. Della parte medievale sono sopravvissuti: il campanile, la sala capitolare, il dormitorio dei monaci e il refettorio dei conversi.

Il conte Paolo Salvadori di Wiesenhoff, proprietario dell’azienda, ha illustrato: “La realtà di una famiglia operosa e il piano di valorizzazione di questo luogo che oggi unisce all’azienda agricola l’ospitalità per eventi che si vorrebbe ampliare ulteriormente dal punto di vista culturale, ospitando anche presentazioni di libri, corsi specifici”. La grangia di Montarolo dieci anni fa è stata bonificata e coltivata a risaia terrazzata come in Oriente, creando anche un’ulteriore attrazione per i turisti che amano visitare questo ambiente unico e ricco di fascino.
Prima del 1818 Lucedio e le sue grange costituivano ancora un compendio unitario (il nome stesso di grangia, che indicava originariamente una struttura edilizia utilizzata per la conservazione del grano e delle sementi, rimanda ai cistercensi: i “monaci bianchi” non amavano dare la loro terra in affitto ai contadini, ma preferivano farsi essi stessi imprenditori e mantenere la gestione diretta dei possedimenti strappati alla foresta): dal 1818 al 1821 il principe Borghese vendette Lucedio ad una società che ripartì le varie proprietà. Nel 1934 il nonno dell’attuale proprietario acquistò l’azienda ma, a causa della sua improvvisa morte, la moglie cedette la coltivazione a cinque famiglie di agrari vercellesi, che negli anni Cinquanta, con le nuove leggi sull’agricoltura, divennero padrone dei terreni, poi riacquistati, per quattro quinti, dagli antichi proprietari, che costituirono l’attuale azienda modello.

Il primo atto di salvaguardia di Lucedio – ha ricordato Giorgio Gaietta – risale al 1987 quando l’allora Soprintendente, Giovanni Romano, chiese al Comune di Trino di custodire i beni della chiesa e del campanile di Lucedio. In occasione del convegno del 1994, organizzato da Maurizio Cassetti, l’allora Arcivescovo di Vercelli, Tarcisio Bertone, dichiarò la chiesa proprietà dell’Arcidiocesi di Vercelli, dando un contributo per il rifacimento del tetto: pareva l’inizio della salvezza, ma ci fu una brusca battuta d’arresto che rischiò di compromettere l’esito dell’intera operazione. Grazie all’avvocato Dario Casalini e ed all’impegno profuso dall’allora Assessore all’agricoltura, Marco Frà, la chiesa fu ceduta dalla contessa Cavalli d’Olivola al prezzo simbolico di un euro alla Provincia di Vercelli ed iniziò la complessa opera di restauro, articolata in tre lotti.
Il Museo Leone di Vercelli conserva alcuni reperti trovati nelle campagne di scavo nella chiesa condotte dall’UPO, sotto la guida della Professoressa Eleonora De Stefanis: cinque speroni, esposti nella mostra: “Cavalieri di pietra”, due formelle e una chiave di volta con l’Agnus Dei, e due bacili architettonici, che erano murati nel campanile, esposti nella mostra: “Il campanile delle meraviglie”.
Le pale d’altare furono portate al Museo Borgogna ed emerse immediatamente la straordinaria qualità pittorica di quelle dipinte dal Mayerle, dal Guala e dall’Abbiati.

Al termine della presentazione Cinzia Lacchia, direttore del Museo Borgogna, ha invitato i presenti ad ammirare dal vivo le tre pale di Lucedio, che ha illustrato con competenza e passione, dimostrando come questo territorio possa essere “alto”, assurgendo ad un livello artistico internazionale.

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