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Padre Luciano Guglielmino racconta a Gattinara le “esperienze cistercensi oggi”
GATTINARA – Padre Luciano Guglielmino torna almeno una volta l’anno nella “sua” Gattinara per rivedere il fratello Valentino e salutare amici e conoscenti. Fulvio Caligaris, Presidente dell’Associazione Culturale di Gattinara, ha colto l’occasione per invitarlo nelle storica sede dell’Associazione per raccontare la sua vita di monaco cistercense dell’Abbazia di Chiaravalle di Milano, della Congregazione di San Bernardo in Italia, che dura ormai da quarantasei anni.
Padre Luciano Guglielmino racconta a Gattinara le “esperienze cistercensi oggi”
Padre Guglielmino, domenica 28 luglio, ha parlato di: “Esperienze cistercensi oggi”, partendo dalla sua esperienza e dai vari incarichi ricoperti: foresterario, maestro dei novizi, consigliere, mentre oggi si occupa delle confessioni, dell’accompagnamento spirituale, del cimitero e di una casa funeraria.
Padre Luciano è una persona intelligente ed autoironica, che ha immediatamente saputo conquistare l’attenzione dell’uditorio parlando del mondo cistercense in cui l’esperienza è sempre molto concreta e reale: “I monaci hanno la testa in cielo, ma i piedi ben per terra”. Oggi si assiste ad un grande ritorno di interesse culturale nei confronti dei Cistercensi e stanno uscendo molte pubblicazioni dedicate ai monaci, o ambientate in abbazie, come il nuovo, interessante libro dedicato all’abbazia di Lucedio nel Vercellese: Lucedio. Novecento anni di storia curato da Giorgio Gaietta e Paolo Salvadori di Wiesenhoff.
Paradossalmente però accade che le persone paiano sorprendersi incontrando per strada, o alla fermata dell’autobus un monaco cistercense: “Ma perché ci sono ancora?”.
La vera singolarità di Chiaravalle – ha sottolineato Padre Luciano – è che è abitata e vissuta dai monaci.
Nel 2021 sono stati celebrati gli ottocento anni della consacrazione dell’abbazia di Chiaravalle: l’abbazia è ancora lì, visibile a tutti, perché in quei secoli: “Si lavorava per il cielo”. La semplice bellezza monumentale dice tutto dell’esperienza monastica cistercense: “L’edificio cresce verso l’alto, costruito in mattoni, perché era il materiale disponibile in loco, mentre nel nord Europa le abbazie erano costruite in pietra”.
I Cistercensi sono nati nel VI secolo, da una riforma dell’Ordine Benedettino e si sono diffusi in tutta Europa, ma la Regola è sempre quella dettata da San Benedetto, con alcune riforme, come l’introduzione della Laus perpetua durante tutte le ventiquattro ore. La riforma cominciò con alcuni monaci che si recarono a Cistercium dando vita ad un’esperienza nuova che, con il tempo, venne seguita da molti: nel giro di pochi anni tutta Europa si riempì di monasteri cistercensi: “Bernardo in vita fondò sessantadue monasteri”.
L’abbazia di Chiaravalle si ampliò, sviluppandosi e acquistando terreni: “I cistercensi erano specializzati nella canalizzazione delle acque: trasformavano le paludi e gli ambienti acquitrinosi”. Nel 1798 la Repubblica Cisalpina soppresse tutti i monasteri, incamerandone i beni: spesso i monasteri furono trasformati in abitazioni ed i terreni convertiti in imprese agricole. Tre parti del grande chiostro bramantesco erano state distrutte nel 1861 per costruire la ferrovia Pavia-Milano, il mulino era stato trasformato in abitazioni per i contadini.
La chiesa divenne parrocchia ambrosiana: alla morte dell’ultimo sacerdote, nel 1952, il Cardinale Schuster, d’accordo con la Congregazione, che già in precedenza aveva chiesto di poter tornare, per ridare vita a questo luogo, accolse da Roma quattro monaci che cominciarono a ricostruire tutte le parti che erano state distrutte, partendo dal chiostro, che è un elemento essenziale del monastero. Il meraviglioso refettorio a cinque campate durante la Prima Guerra mondiale era stato trasformato in stalla per i cavalli e suddiviso con volte: negli anni Novanta fu completamente restaurato, riaprendo le finestre antiche. Oggi i monaci pranzano in quel meraviglioso locale, lungo trentanove metri e largo otto, seduti da un solo lato del tavolo, mentre il “lettore di tavola” legge all’inizio del pranzo un capitolo della Bibbia, poi libri, notizie, atti della Chiesa, e due monaci servono a tavola.
Tutti gli incarichi sono a rotazione ebdomadaria, settimanale. L’antico mulino è stato restaurato: negli anni Novanta sono state riportate alla luce le parti più antiche, ricostruendo la pala sulla base delle descrizioni presenti in un manoscritto del Quattrocento, una domenica al mese viene rimesso in funzione ed aperto al pubblico. Davanti al mulino è stato realizzato il “giardino dei semplici”, come usava nel Medioevo, con tutte le erbe medicinali. La chiesa monumentale nell’esperienza cistercense è uno degli elementi fondamentali: “Si edifica per una spiritualità”. La vita del monaco cistercense è caratterizzata dalla stabilità in un luogo, e in ciò si differenzia dai francescani e dai domenicani.
All’interno della chiesa, ha spiegato Padre Luciano, ci sono due elementi essenziali: l’altare e il coro, in cui i monaci si trovano più volte al giorno per pregare: “Buona parte della giornata i monaci la trascorrono nel coro”. Nelle bellissime formelle scolpite sono raffigurati episodi della vita di San Bernardo.
Altri elementi della vita cistercense sono la Sala Capitolare, dove ci si incontra, ci si ritrova, e il chiostro: “E’ al centro di questa realtà: tutti gli ambienti dell’abbazia si affacciano sul chiostro, che simbolicamente è il Giardino dell’Eden, la Gerusalemme celeste”. Sul lato ovest del chiostro c’è la Foresteria, dove sono ospitate persone che vogliono fare esperienza della vita monastica: “Io raccomando sempre di non portare telefoni o computer: altrimenti che ritiro fate?”
Oggi i monaci che vivono nell’abbazia di Chiaravalle sono sedici, lo stile di vita è molto austero: ci si alza alle quattro e venti del mattino, ci si reca sette o otto volte al giorno in Coro, per pregare e durante la giornata si svolge l’attività lavorativa. “E’ facile accostarsi a questo tipo di vita, difficile rimanerci: ai giovani spesso manca la stabilità, ma sono certo che tra vent’anni ci saranno ancora monaci cistercensi, bisogna avere fiducia”.
Gianni Brugo ha chiesto di parlare del significato del rito e del digiuno. “Il rito è importantissimo: in monastero si vive secondo la Regola, si è all’interno di un ciclo liturgico che si ripete continuamente. Oggi le persone sono molto individualiste e quindi è difficile condividere: se non ci fosse una Regola ci si disperderebbe. Tradizione, rito, Regola sono degli aiuti: il rito è indispensabile per collegare l’individuo con il soprannaturale ed è presente in qualsiasi forma monastica o religiosa”.
Parlando del digiuno Padre Luciano ha ricordato che la Regola di San Benedetto era moderata ed equilibrata, non venivano mai imposti ai monaci digiuni troppo severi: “Piuttosto il lavoro continua ad essere una delle componenti della vita monastica cistercense e ci preoccupa molto l’aspetto finanziario della gestione dell’abbazia: in inverno non si accende il riscaldamento in certi ambienti, perché poi non si sarebbe in grado di pagare le bollette”.
Ciò che induce oggi persone mature, con esperienza di vita, a fare la scelta di entrare in un monastero è difficile da capire: il monastero attira: “Molte persone vengono da noi, perché è un luogo di preghiera, di silenzio”. Entrando in chiesa si avverte qualcosa di molto particolare: la “bellezza dello spirito”: “Si frequenta il monastero per un mese di prova, poi si ritorna nel mondo esterno per confrontarsi con la realtà, segue il postulandato, un anno in monastero, ma in abito borghese, se al termine si viene ritenuti adatti, si fa domanda per il noviziato, che dura due anni, in cui si indossa un abito bianco, segue la professione semplice, un vincolo che dura tre anni e infine la professione solenne per tutta la vita, tanto che per uscire occorre chiedere la dispensa”.
Padre Guglielmino ha concluso chiarendo che la clausura monastica non significa non poter uscire dal monastero: “Ognuno di noi esce per delle necessità, per motivi di salute ,o per inviti della Comunità, ma sempre l’iniziativa del singolo viene concordata con il monastero”.
Il Presidente dell’Associazione Culturale ha ringraziato il relatore offrendogli il volume di Vittorio Travostino: “Uomini e vicende di Gattinara antica” e una riproduzione della mappa di Gattinara tratta dal Theatrum Sabaudiae del 1682, proponendo di organizzare una gita a Chiaravalle, ora che si sono conosciuti tanti dettagli sulla costruzione e sulle molteplici funzioni dell’Abbazia, e soprattutto sulla vita monastica.
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