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“Parlare di cioccolato è la mia vita” a Gattinara con il dott. Andrea Saini
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GATTINARA – Alla conviviale rotariana è stato gradito ospite il dott. Andrea Saini, Presidente del RC Borgomanero Arona, che ha ingolosito soci e ospiti: “Parlare di cioccolato è la mia vita”.
“Parlare di cioccolato è la mia vita” a Gattinara con il dott. Andrea Saini
Nel 1946 Lino Saini aprì ad Arona una fabbrica con un prodotto che piaceva ai bambini. Suo padre, mugnaio, era stato ucciso nel 1944 in un agguato fascista, avendo rifiutato di cedere il mulino di Cressa. Il nome Laica è l’acronimo per Lavorazione Industriale Cioccolato e Affini. Lo sviluppo fu rapido e costante: nel 1954 fu aperto un nuovo stabilimento, nel 1960 nacquero tre cioccolatini che hanno fatto la storia dell’Azienda e ancora oggi sono in produzione: Rabbit, Santas e le famose monete, prima in bande, poi nelle caratteristiche retine.
Nel 1995 Lino Saini fece entrare in Azienda la nuova generazione: Andrea, Presidente e Amministratore Delegato, Lucia, Amministratore Delegato e Responsabile della Produzione, Fabio, l’ingegnere, Amministratore Delegato e Responsabile Engineering e innovazioni tecnologiche, che sono i primi tre veri ingredienti di ogni cioccolatino Laica: ciascuno di loro apporta un sapore distinto ed esclusivo, senza il quale il prodotto finale non sarebbe così buono.
Oggi Laica è una delle realtà più evolute nella produzione e vendita di praline e altri prodotti di cioccolato in tutto il mondo: “Lavoriamo per creare momenti di felicità per qualcuno, siamo generatori di momenti di positività, ma il cuore dell’Azienda restano le persone e noi cerchiamo di creare un forte senso di appartenenza. Laica è attenta all’impatto che le produzioni hanno sull’ambiente, sia attraverso la riduzione e il riciclo degli imballaggi, che nel consumo energetico. La nostra filosofia è volta a garantire la massima qualità al giusto prezzo”.
Andrea ha ricordato che ogni giorno in stabilimento si producono cinque milioni di cioccolatini, dei quali il 55% va all’estero, trecento persone gestiscono le tredici linee di produzione, dalle quali escono trecentocinquanta tipi di cioccolatini. La superficie occupata per magazzino e produzione ammonta a trentamila metri quadrati
Parlando agli amici rotariani Andrea ha scelto di spiegare cosa ci sia dietro una tavoletta di cioccolato: “Un intero mondo, un lavoro complesso, con una filiera lunghissima, con ingredienti che provengono da tutte le parti del mondo”. L’albero del cacao (Theobroma Cacao, dal latino: Theo=Dio e Broma = Cibo, Cibo degli Dei) è una specie con origini antichissime: studi archeologici in Costa Rica hanno dimostrato come il cacao fosse consumato come bevanda dai Maya già nel 400 a.C.
Coltivato esclusivamente nelle regioni equatoriali delle Americhe, il cacao si è poi diffuso, a partire dal VIII secolo, nelle isole dell’Oceano Indiano e sulle coste dell’Africa occidentale, in particolare nella colonia inglese della Gold Coast, oggi Ghana, e in Costa d’Avorio, che divennero in seguito le più grandi produttrici di cacao del mondo. In Europa, l’arrivo e la diffusione del cacao li dobbiamo presumibilmente a Cristoforo Colombo: nel nostro continente il cacao è stato dapprima usato come merce di scambio (i semi), per poi diventare una tipica bevanda servita durante le cerimonie ufficiali ed infine, nell’Ottocento, si è diffuso come prodotto trasformato grazie a tecniche di produzione sempre più raffinate. Ghana e Costa d’Avorio producono il 70% del cacao mondiale e la Costa d’Avorio da sola produce la metà del cacao mondiale.
Saini ha mostrato un interessante filmato girato in Africa, poiché l’habitat tipico dell’albero del cacao è quello degli ecosistemi forestali tropicali, situato tra i 20° di latitudine nord e sud dell’equatore, in climi umidi e caldi, dato che necessita di una temperatura costante tra i 21°C e i 32°C e una piovosità annua di almeno 1.500 mm, distribuita in modo abbastanza uniforme durante tutto l’anno. Viene definita “pianta agroforestale” poichè vive preferibilmente all’ombra di altri alberi, che possono essere destinati alla produzione di legname o di frutta. E’ una pianta sempreverde, che può raggiungere un’altezza di circa 4-8 metri, sebbene in coltivazione venga spesso mantenuta più bassa per facilitare la raccolta dei frutti, prospera in suoli leggermente acidi, con un buon drenaggio e una ricca presenza di materia organica. La pianta del cacao è conosciuta per la sua capacità di produrre frutti in abbondanza: in media, un albero del cacao maturo può produrre dai 20 ai 50 frutti all’anno. L’albero comincia a fruttificare dopo un periodo di circa cinque anni e va avanti per circa una trentina d’anni. Il tronco dell’albero del cacao è robusto e si divide in diversi rami principali che formano una chioma folta e ombrosa.
La corteccia è liscia e di colore grigio-marrone. La struttura dell’albero è tale da permettere la fioritura e la crescita dei frutti direttamente sui rami principali e sul tronco, fenomeno noto come caulifloria, ottimizzando l’uso dello spazio e migliorando l’efficienza della raccolta. I piccoli fiori, che misurano circa 1-2 cm di diametro, non sono particolarmente appariscenti, ma essenziali per la produzione dei frutti. I fiori sono impollinati principalmente da piccoli moscerini, o artificialmente, ma solo una piccola percentuale dei fiori, circa l’1%, si trasforma in frutti, dato che molti fiori non vengono impollinati, o cadono prematuramente. Le foglie dell’albero del cacao sono grandi, lunghe e lanceolate, con una superficie liscia e lucida, possono raggiungere una lunghezza di circa 20-30 cm. I frutti dell’albero del cacao, noti come cabosse, sono grandi e ovali, con una lunghezza che varia tra i 15 e i 30 cm e un peso che si aggira attorno ai 300-500 grammi, vengono raccolti manualmente dai produttori, spesso piccoli coltivatori, attraverso strumenti quali il machete o il “ferro da cacao”.
Ogni cabossa può contenere dai venti ai sessanta semi di cacao, avvolti in una polpa dolce e mucillaginosa, dal vago sentore di agrumi: liberate le fave sono sottoposte al processo di fermentazione, ammassate in mucchi protetti con foglie di banano, o poste in casse di legno, ed essicazione nei forni, o su vassoi, che saranno poi lasciati al sole per circa una settimana. I semi vengono poi esportati sotto diverse forme: fava intera o spezzata, grezza o tostata. I semi del cacao, comunemente chiamati fave di cacao, sono l’elemento più prezioso della pianta. Ogni fava è racchiusa in una sottile buccia e contiene due cotiledoni ricchi di grassi e sostanze nutritive. La parte esterna del frutto viene utilizzata come fertilizzante. Solo le fave di prima scelta vengono esportate. Saini ha spiegato che per il cacao esistono due borse: Londra e New York.
Alla base di questo delicato processo a mano, ci sono circa cinque milioni di piccoli e medi coltivatori nei paesi in via di sviluppo e, dall’altro lato, miliardi di consumatori finali. Dietro l’industria dolciaria del cioccolato si nasconde una filiera minata di criticità legate alla deforestazione, disuguaglianze salariali e lavoro minorile: per i paesi dell’Africa equatoriale il cacao è la principale fonte di sostentamento Una produzione di cacao che sia sostenibile e nello stesso tempo migliori il reddito dei coltivatori, aumenti la resilienza dei sistemi di coltivazione nei confronti dei cambiamenti climatici e delle malattie, si deve basare su sistemi agroforestali, cioè piantando alberi da ombra nelle piantagioni di cacao. Attraverso l’incremento della densità degli alberi per ogni ettaro di terreno coltivato a cacao, utilizzando diverse varietà di alberi da legname, leguminosi e da frutta, si realizza il rimboschimento e parallelamente si diversifica l’economia delle famiglie di agricoltori, creando forme di reddito supplementari grazie alla vendita dei prodotti agroforestali degli alberi piantati (ad esempio l’avocado). Inoltre, grazie a una maggiore varietà di specie, si incrementa la resistenza delle piante nei confronti dei cambiamenti climatici e delle malattie e si migliora la qualità del terreno. Attraverso il conseguente minore fabbisogno di fertilizzanti, aumentano i redditi mensili dei contadini, che non sono così più costretti a disboscare altre superfici della foresta.
“Oggi il cacao è in sofferenza per motivi climatici, ma è resiliente: non si rinuncia a un buon cioccolatino”: Andrea ha spiegato che senza il latte in polvere non si fa il cioccolato: “Per ottenere un chilogrammo di latte in polvere servono nove litri di latte. Con la fava di cacao si possono ottenere tre cose: pasta di cacao, burro di cacao, cacao in polvere. Per fare il cioccolato ci vogliono anche lo zucchero, la vaniglia del Madagascar, le nocciole”.
La fase che porta alla produzione del cioccolato è molto lunga e complessa, tanto che la maggior parte delle aziende utilizza il cioccolato già fatto: “Comprano la cisterna con il cioccolato e lo modellano”. Alla domanda se sia più difficile fare il cioccolato o venderlo Andrea ha risposto senza esitazione: “Ho fatto l’operaio e quindi ho imparato a fare il cioccolato: certo è più difficile che venderlo”. Durante la serata è stato possibile degustare diversi tipi di cioccolato, per capire le differenze: “Il cioccolato non ingrassa, giova all’umore e aumenta le capacità cognitive”.
Proprio al mondo del cioccolato è legata anche una tipica e divertente espressione piemontese: “fè na figura da cicolatè” (fare una figura da cioccolataio), ovvero fare una figuraccia, ricordata da Andrea Saini. Questa curiosa espressione ci riporta alla Torino dei primi dell’Ottocento. Si racconta infatti che, negli anni del regno di Carlo Felice, re di Sardegna e duca di Savoia, i borghesi non potessero andare in giro con carrozze trainate da più di due cavalli. Ciò accadeva perché le quadrighe erano riservate esclusivamente ai nobili e agli appartenenti alla casa reale. Un artigiano cioccolatiere però, arricchitosi con i proventi della sua fiorente attività, si fece costruire una grande carrozza trainata da quattro cavalli. Finemente decorata e così lussuosa da fare invidia persino a un re. Carlo Felice convocò subito l’artigiano e lo invitò a usare un tiro a due, perché non poteva lui, re di Sardegna, di Cipro e di Gerusalemme, permettersi di: fè na figura da ciculatè, fare una figura da cioccolataio.
La serata si è conclusa “dolcemente” con dono di tavolette speciali e ringraziamenti al relatore che ha saputo trasmettere passione e amore per la propria azienda di famiglia.
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