Attualità
Rina Pizzetta: 100 anni…e il futuro
VARALLO – “Voglio ringraziare il mio prossimo, perché mi ha aiutata a vivere”: con queste parole Rina Pizzetta commenta il suo centesimo compleanno. In una splendida mattinata di sole, ci siamo incontrate per caso sul ponte che attraversa il Mastallone, ai piedi della statua del Generale Antonini: “Un antenato”, sottolinea Rina, sottilmente compiaciuta.
Ripercorriamo insieme questo secolo di vita trascorsa a Varallo: “Sono nata nella Contrada del burro…un secolo fa…prima di quattro fratelli: Giuse, Silvia e Maurizio, che purtroppo è scomparso in un incidente di montagna nel 1950, a soli ventidue anni, ma Mau, come lo chiamavamo noi, resterà sempre nel mio cuore. Mi sposai con Italo Marchini, originario di Vocca, orfano di guerra, che aveva iniziato la sua carriera, come molti valsesiani, lavorando alla Lancia di Torino, e, insieme, poi gestimmo l’attività di famiglia, un’azienda che fu la “scuola” per molti imprenditori valsesiani: producevamo minuterie metalliche. Dopo aver frequentato la Ragioneria, mi iscrissi allla Facoltà di Scienze Politiche, presso l’Università Cattolica di Milano, ma la morte di mio fratello mi indusse a tornare in famiglia per aiutare mio padre: la Ditta Gilardi Pizzetta lavorava il ferro battuto, aveva imparato a Parigi e a Lione, dove era stato emigrante a tredici anni. Parecchie cancellate di Varallo sono state realizzate nell’officina di mio padre Carlo: ricordo che l’allora Presidente dell’Ospedale, Enrico Grober, quando andò in pensione, diede a mio padre un milione di lire, per realizzare la cancellata: era davvero un Signore.
I ricordi più felici di Rina sono proprio legati agli anni d’infanzia: “Eravamo molto più liberi dei bambini di oggi, d’estate salivamo all’Alpe Sella: il Monte Vaso era il nostro feudo, la massèra portava su le galline per le uova e anche un riccio, che ci guardava dalle vipere. A Ferragosto tutta la Valle si illuminava di falò e anche noi ne preparavamo uno molto grande. Con la prima neve si andava a sciare a Verzimo”.
La cultura era importante in Casa Pizzetta: “A casa mia siamo sempre state abituate a leggere i giornali: la Stampa e il Corriere Valsesiano: mia mamma Teresa era maestra, ma con quattro figli non insegnava, suo fratello era il notaio Alessandro Luigi Zenone, erano nati a Losanna, dove il nonno aveva un negozio di calzature. Alla sua morte prematura la nonna tornò con i figli in Italia e tutti frequentarono il collegio D’Adda, i tre maschi fecero l’università, mentre le due ragazze si diplomarono maestre al Rosa Stampa di Vercelli”.
Parlando riaffiorano spesso ricordi degli anni della guerra: “Vivendo in campagna non ci è mai mancato il cibo. In tempo di guerra in bicicletta salivamo a Fobello dal Pietro Tosi per acquistare burro e formaggi, poi mio padre comprò una mucca per assicurarci il latte fresco, affidandola ad una signora che stava alla Barattina, e in seguito una capra, che era tenuta da una signora di Vocca. Ricordo che di fronte a casa nostra, in casa Anselmetti, abitava una famiglia di sfollati: il Dottor Bossi era originario di Vigevano, dove svolgeva la mansione di amministratore di condomini, sua nonna era una marchesa, con la quale mio padre ogni sera, tornando a casa alle 18 per il coprifuoco, intratteneva interessanti conversazioni. Ho anche insegnato computisteria per sei-sette anni, ricordo che in quegli anni la scuola si trasferì alla Maracca, allora Casa dei Padri Dottrinari: lassù era come insegnare su un aereo”.
La freschezza dei ricordi, la mente agile, lo sguardo vivace che caratterizzano Rina, alla quale spesso anch’io mi sono rivolta per avere informazioni di tipo storico, affascinano al punto che vorrei continuare a sentirla raccontare, ma si avvicina il mezzogiorno e devo proprio lasciarla con un’ultima curiosità: “Quale è il suo segreto?” la risposta è immediata: “Come ho fatto ad arrivare sin qui? Ho sempre lavorato: ho aiutato mio marito in azienda per tutta la vita, non mi sono mai fermata e tutto quello che ho fatto l’ho fatto volentieri. Non ho mai fatto parole con nessuno”, e, saggiamente, conclude: “Un giorno vorrei andarmene serenamente e lasciare i miei figli: Paola, Alberto e Chicco, sempre in accordo tra loro, ma desidero godermi ancora per un po’ i miei nipoti: Veronica, Alessandra, Alice e Marta”.
Con Tamila, una gentile signora originaria della Georgia, che da qualche anno l’accompagna, Rina mi saluta e si avvia verso il centro di Varallo, lasciandomi un esempio di vita.
Piera Mazzone
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