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Un delicato ricordo del poeta Marco Camurri

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Un altro poeta si è incamminato per le montagne più alte, a cercare frescura da questa torrida estate.

Il 21 agosto ci ha lasciati Marco Camurri, conosciuto per le sue poesie in italiano e in serravallese. Aveva scoperto questa vena poetica nella maturità, avendo più tempo a disposizione per sedersi alla: “Vecchia scrivania/ una ribalta un po’ tarlata / un calamaio decorato /di tanti anni fa”, con l’intento di “Lasciare un ricordo”. Marco volle lasciare memoria di sé in tre libri che raccolgono i suoi versi.

“Ricort pensier dla mia vita” uscì nel 2009: “Mi chiamo Marco Camurri, sono nativo di Bornate Sesia. Ho questa bella passione, scrivere mi piace; il mio tempo trascorre più serenamente. Non ho pretese d’essere chiamato poeta. Poeta è colui che realmente sa scrivere. Perciò il mio scrivere è passione”. Nel 2012 nella seconda antologia: “Emblema dl’amor” con tre delicati boccioli di rosa in copertina, metafora dei suoi affetti, si definisce: “Un amico della Valle”, ed esprime il suo amore per le tradizioni, i vecchi mestieri, l’ambiente valsesiano, le amate montagne, la convivialità alpina intorno ad un fiasco di vino, intonando i canti della “naja”. Nell’ultima raccolta, anch’essa del 2012: “La mia vert val. Poesie e pensieri”, pone al centro la Valsesia, con le sue genti operose che si sono fatte onore nel mondo, vegliata dal Sacro Monte: “Cu lè al vantu dla Valsesia, / al benedis cel sta Val / tantu bela sensa ugual”, chiudendo con due poesie dedicate al castello di Vintebbio, silenzioso presidio per l’accesso in valle e al vecchio mulino tristemente abbandonato.

Marco era un uomo che si imponeva per l’esuberanza unita alla vigoria fisica, amava partecipare con l’allora nutrito gruppo dei poeti serravallesi, a tutte le rassegne presenti sul territorio, dalla più antica rassegna poetica in vernacolo, il Pinet Turlo di Grignasco, al concorso nazionale di poesia: “Il Castello di Sopramonte”, organizzato dal Gruppo Alpini di Prato Sesia, agli incontri di Valduggia e Cavallirio.
La morte dell’amata moglie Mariuccia lo addolorò al punto che la sua salute peggiorò e soprattutto avvertì la solitudine, pur vivendo nella stessa casa della figlia Giovanna e del marito Gian Piero ed essendo circondato di attenzioni dalle adorate nipoti, Michela e Lucia.

Per confortarlo nell’ultimo viaggio i suoi cari hanno voluto mettergli accanto piccoli oggetti carichi d’affetto: stelle alpine nel taschino, un fazzolettino di seta cifrato, appartenuto alla moglie, alcune cartoline delle amate montagne, dalle Dolomiti al Pordoi, e la Canzone dell’Alpino.
Lo salutiamo ricordando alcuni suoi versi che lo mostrano incamminarsi fiducioso; “An tal silensi dla mia cà / rament la mia vita / an presa cela l’è pasà / fra ghignai, piangiadi e rabia / ma an docc suris l’è cumpagnami / al suris dla fumna chi sun marià/…al suris ormai l’è smursasi / un sol pensier an mi al cor / quant j’ogi mi serarò / chisà vugarò ancu cul suris/ che par 54 agn l’è fami cumpagnia /se fuisa mai ansi/ duman ca fuisa cul bel dì”.
Ciao Marco, buon cammino.

 

Piera

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