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Università del Piemonte Orientale: si parla di Esperanto

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Università del Piemonte Orientale: si parla di Esperanto

Venerdì 4 ottobre, a Palazzo Tartara, è stato ospitato un convegno del Gruppo Esperantista Vercellese “Mario Sola” dal titolo: “Una lingua universale come strumento di conoscenza tra i popoli in movimento”, patrocinato e compartecipato dall’Università del Piemonte Orientale, attraverso il tramite della linguista Maria Napoli, docente ordinaria di Glottologia e linguistica, che è stata la moderatrice dei lavori.

Università del Piemonte Orientale: si parla di Esperanto

“Scopo dell’incontro – spiega la professoressa – era quello di stimolare la riflessione sui problemi di comunicazione legati ai massicci fenomeni migratori a cui assistiamo nel mondo di oggi e sull’utilità di una lingua internazionale. Nelle intenzioni del suo creatore, il medico polacco Lejzer Ludovik Zamenhof, l’esperanto veniva proposto nel 1887 come lingua internazionale artificiale proprio per superare gli ostacoli comunicativi legati alla pluralità degli idiomi parlati nel mondo e per favorire le relazioni e gli scambi tra i popoli. Doktoro Esperanto, ‘Dottore Speranzoso’: questo lo pseudonimo assunto da Zamenhof nel promuovere una lingua al cui nome è legato quello, ‘auto-parlante’, di speranza”.

Il convegno si è aperto con il saluto della professoressa Laura Brazzabeni, presidente della Federazione Italiana Esperanto.
“Nobis est patria mundus velut piscibus aequor. Qualche riflessione sul concetto di lingua ausiliaria internazionale nel mondo globalizzato”: il tema scelto dal professor Davide Astori, docente di Glottologia e linguistica presso l’Università di Parma, prendeva spunto dalla citazione tratta dal “De vulgari eloquentia” di Dante che era cittadino del mondo, in un’Italia ancora di là da venire (ci sarebbero voluti ancora seicento anni) con un paese natale, Firenze, che lo esiliò, così come prima di lui Adamo era stato esiliato dal Paradiso terrestre, e Abramo, per salvarsi dalla carestia a Canaan, fuggì in Egitto. L’immagine biblica della torre di Babele, atto di hybris da parte degli uomini, che avevano osato innalzare una costruzione che raggiungeva il cielo provocò la confusione delle lingue e la dispersione dei popoli sulla terra, ciascuno con la propria lingua. Nel miracolo della Pentecoste agli Apostoli apparvero delle lingue come di fuoco che si dividevano e se ne posò una su ciascuno di loro. Tutti furono riempiti di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue. Astori, proponendo via via nuove suggestioni, è arrivato a raccontare l’incontro avvenuto nel 1905 a Boulogne-sur-Mer in Francia tra ottocento esperantisti provenienti da venti Paesi, che si riunirono per trattare alcuni problemi e usarono esclusivamente l’esperanto, dimostrandone per la prima volta l’efficacia. Alla fine di tale congresso fu anche redatta la Dichiarazione di Boulogne (o Dichiarazione sull’essenza dell’Esperantismo) in cui si ribadiva che l’esperanto era proprietà del mondo intero e che inoltre doveva essere libero da ogni tipo di strumentalizzazione o ideologia politica, religiosa o di altro genere. La rapidità dell’espansione del movimento subì vari duri colpi nel corso della prima guerra mondiale, ma soprattutto nella seconda guerra mondiale a causa di Hitler, che riteneva l’esperanto la lingua degli ebrei, ma anche nella Russia di Stalin.

Concludendo con un accenno al concetto del relativismo linguistico Astori ha fatto osservare: “In inglese straniero, forestiero, si traduce alieno, ma, se ci pensiamo, siamo noi esotici per altre lingue”.

Il professor Simone Attilio Bellezza, che insegna Storia contemporanea presso l’UPO, autore del volume: “Identità ucraina” pubblicato da Laterza, come premessa al suo intervento: “La questione della lingua nella diaspora ucraina: identità esclusive o appartenenze multiple?” ha parlato della storia dell’Ucraina, territorio conteso tra imperi potenti e in concorrenza tra loro. Eppure, a partire dall’Ottocento si è sviluppata una coscienza nazionale che, dopo il 1989, ha dato senso e identità al nuovo stato indipendente. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’emigrazione negli Stati Uniti e in Canada costituirà una comunità coesa e influente, capace di svolgere un ruolo significativo quando, con la caduta dell’URSS, nascerà per la prima volta uno stato ucraino indipendente.

Il senso di appartenenza nazionale si rafforzerà in parallelo al processo di democratizzazione ed europeizzazione, accentuato dal crescente antagonismo con la Russia putiniana. L’ucraino, la lingua nazionale tra gli ucraini in diaspora, diventa la lingua dell’internazionalità: “Negli anni Cinquanta e Sessanta l’Ucraina era bilingue: russo e ucraino, e ancora oggi perfettamente bilingue passiva, cioè capiscono sia il russo che l’ucraino, e moltissimi sono anche bilingui attivi”. Ivan Dzjuba (1931-2022), la cui vita racconta molto della storia dell’Ucraina e del rapporto con l’Unione Sovietica prima e con la Russia poi, considerava la lingua un fattore di identità e nel suo libro, tradotto in Italia nel 1965 con il titolo: L`oppressione delle nazionalità in Urss, faceva emergere la politica linguistica sovietica che imponeva una progressiva russificazione delle popolazioni non russofone: “Il russo imposto era una lingua burocratica e impoverita, che perdeva la sua capacità di capire il mondo. Dopo il 2014 gli Ucraini, che erano bilingui, smisero di parlare il russo: si assistette ad una fortissima ucrainizzazione spontanea dal basso”.

La dott.ssa Gianfranca Gastaldi, che insegna psicologia dello sviluppo all’Università di Torino, ha concluso l’incontro con: “Il tema dei diritti linguistici nel mondo globalizzato: esperienze e iniziative realizzate nel contesto italiano dall’associazione Nitobe per la giustizia e la democrazia linguistica”. Nitobe è nata nel 2010 per tutelare i diritti civili, a cominciare dal diritto di usare la propria lingua madre. Tommaseo scrisse che la lingua è il più forte vincolo che stringe la patria e questo in una Italia in cui meno del 10% della popolazione parlava italiano.

Malgrado la discriminazione basata sulla lingua sia espressamente vietata nel secondo articolo della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, questo aspetto fondamentale della vita umana viene troppo spesso trascurato. Quando scompare una lingua, con essa vengono persi tradizioni, memoria, immaginario e folklore. Molto importante è il tema delle minoranze linguistiche: se si vieta una lingua si radicalizza l’imparare quella lingua: occorre quindi rispettare l’interiorità linguistica, pur integrando con l’insegnamento di un’altra lingua.
Nel ricco dibattito successivo ai tre interessanti interventi, Laura Brazzabeni ha ricordato che nel mondo attualmente gli esperantisti sono compresi tra 1,5 e 3 milioni di persone: “In Italia esiste la Federazione esperantista italiana, l’Istituto Italiano di Esperanto e c’è la possibilità di seguire corsi in rete di esperanto. Anche avendo un grado di competenza linguistica basso ci si sente appartenenti a questo popolo. Nelle scuole italiane sono in atto alcune progettazioni, come nel caso di Verdello in provincia di Bergamo, dove si insegna esperanto, come strumento per potenziare il multilinguismo”.

Dal convegno è stato dimostrato quanto necessità e politica guidino la storia della lingua, come nel caso dell’Ucraina, in cui il vincolo linguistico diventa più forte quando viene aggredito, ma è stato citato anche il caso italiano: “Negli anni Cinquanta genitori dialettofoni, bilingui, scelsero di non insegnare il dialetto ai figli perché si riteneva l’italiano avesse un maggior prestigio”.

Proprio in quegli anni (17 gennaio 1947) sul Corriere Valsesiano fu pubblicato un articolo dal titolo: “Dell’esperanto e perché Abigaille Zanetta fu esperantista”. Abigaille Zanetta, alla quale Borgosesia ha dedicato una strada, era nata a Suno nel 1874 dal notaio Bartolomeo Zanetta e da Filomena Neri di Varallo. Diplomatasi maestra nel 1899, insegnò presso la Scuola Comunale di Vercelli, fu direttrice dell’Asilo Infantile di Maggiora, insegnò con la sorella Erminia nella Scuola Internazionale di Torino, insegnò a Milano ed entrò nelle file socialiste. Il suo salotto di Milano era frequentato da Giacomo Matteotti, Antonio Graziadei, Fabrizio Maffi, Angelica Balabanoff. Avversò la politica di Mussolini. Fu internata nel 1918 e sospesa dallo stipendio nel 1923. Arrestata nel 1927. Nel 1943 si ritirò in Valsesia dove morì nell’Ospedale di Borgosesia il 29 marzo 1945. Nell’articolo, siglato “p.r.”, si legge che Abigaille: “Idealista, mirante alla pace mondiale, al regno della giustizia, dell’uguaglianza e della fratellanza universale, dotata delle qualità di vera cittadina del mondo, abbracciò l’esperanto con entusiasmo… Fu membro solerte della cattedra italiana di esperanto, insegnò per due anni l’esperanto in classi di corso popolare del Comune di Milano (1921 e 1922)… fondatrice del Gruppo Esperantista Proletario, vi tenne due corsi annuali e curò la pubblicazione del Bollettino del Gruppo”.

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