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2020… chilometri di solidarietà

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Quella che andiamo a raccontarvi ora è una storia che parla al cuore. Una storia di generosità, di altruismo che, con l’avvicinarsi di questo Natale, sicuramente diverso da quelli cui tutti noi eravamo abituati, assume forse un significato ancora più forte e autentico.
Ne sono protagonisti alcuni volontari di «Cuore attivo Monterosa odv», una onlus nata ad Alagna come continuazione di «Cuore Attivo» (costituita nel 2015 ad Armeno), con la finalità di promuovere e concretizzare progetti di sviluppo e cooperazione a livello nazionale e internazionale e di divulgazione della cultura tramite la fondazione di scuole e biblioteche, attività di supporto medico e informazione sanitaria di base, in villaggi di montagna nelle valli himalayane. Presieduta dalla guida alpina Michele Cucchi – che recentemente ha raccolto il testimone dalla zio, Giuseppe (Seppi) Enzio, anch’egli guida alpina, con alle spalle più di trent’anni di esperienze lavorative in Nepal – questa realtà è ormai una presenza attiva nelle valli del Makalu e dell’Arun; soltanto nel 2019 ha realizzato una scuola elementare a Cepuwua con campo medico (in appena undici giorni), creato un collegamento idrico a Namase, effettuata la manutenzione straordinaria dell’ostello di Kandhbari e completato un secondo edificio.

Quest’anno, invece, a causa delle difficoltà legate alla pandemia, l’associazione ha convogliato forze, impegno ed energie sul Pakistan, in particolare in favore di diversi villaggi del Gilgit Baldistan, nel Parco nazionale del Karakorum, il più alto del mondo, distribuendo cibo e medicinali alla popolazioni locali duramente colpite dalla crisi economica connessa all’emergenza sanitaria da Covid-19. Sono partiti a fine ottobre, in cinque: in testa lo stesso Cucchi, che con il Pakistan ha un legame particolare (nel 2014, tra l’altro, ha raggiunto la vetta del K2 nell’ambito della spedizione «K2 60 year later»), altre due guide alpine, rispettivamente ad Alagna e in Valle d’Aosta, Paolo Dalla Valentina e Marco Zaninetti, la dottoressa Rosella Giuliani, medico di base in Valsessera, e due ragazzi valsesiani di ventisette anni, Chiara Guglielmina, maestra di sci e fotografa, e Matteo Negra, maestro di sci. Hanno trascorso in queste terre tre intense settimane che vogliamo qui ripercorrere grazie alla preziosa testimonianza del medico che ha preso parte alla missione di solidarietà, la dott. Giuliani, o meglio, «Ross» come tutti la chiamano.

«A causa del Covid-19» racconta «quest’anno le popolazioni himalayane del Karakorum non hanno potuto lavorare con le spedizioni alpinistiche straniere. Parliamo delle famiglie di portatori, di guide, di personale impiegato nei servizi turistici (di pulizia, cucina, trasporti), che vivevano proprio grazie agli introiti derivanti dal turismo; basti dire che negli ultimi tempi si era passati dalle 35.000 ai due milioni di presenze annue. Numeri che hanno inciso profondamente anche nella quotidianità di coloro che in questi villaggi ci vivono. Progressi, però, che sono stati praticamente azzerati dall’arrivo della pandemia che ha lasciato senza reddito, e quindi alla fame, migliaia di persone. Il nostro viaggio in tali terre era motivato proprio dalla volontà e desiderio di poter dare un aiuto concreto a queste popolazioni in lotta per la sopravvivenza, di coprire almeno in parte il fabbisogno necessario ad affrontare l’inverno che qui è particolarmente rigido. In tre settimane abbiamo percorso ben 2.020 chilometri, lungo strade impervie che collegano i vari villaggi costruiti tutti sopra i tremila metri di altitudine, alcuni addirittura anche oltre i quattro mila».

Ross si sofferma quindi a raccontare come nel concreto siano riusciti a organizzare la distribuzione degli alimenti. «Fondamentale» dice «è stata la collaborazione con l’associazione EvK2CNR, da tempo impegnata nel fornire un supporto specifico allo sviluppo sostenibile delle zone di alta quota, promuovendo una politica di conservazione dell’ambiente e favorendo una miglior qualità della vita per le popolazioni locali. Dopo un incontro con l’ambasciatore italiano a Islamabad, ci siamo diretti a Skardu, a circa 650 km dalla capitale. E qui i volontari di EvK2CNR ci hanno supportati sia per quanto riguarda gli approvvigionamenti alimentari sia, successivamente, nei rapporti con i vari capi villaggio. Complessivamente al mercato di Skardu abbiamo acquistato 17 tonnellate di alimenti: olio, riso, tè, lenticchie, latte in polvere, spezie preziose, realizzando ben 600 sacchi che poi, giorno dopo giorno, siamo andati a distribuire nei vari villaggi, distanti tra loro anche centinaia di chilometri; tragitti percorsi a bordo di jeep, tra sali scendi, gole strette e profonde, ponti oscillanti. I vari capi villaggio ci facevano avere un elenco dei portatori e delle famiglie maggiormente colpite dalla crisi, proprio per disporre di una sorta di lista dei più bisognosi cui distribuire gli aiuti. In realtà, poi, in alcuni villaggi, tutto quello che consegnavamo veniva messo insieme e poi ripartito in modo equo, un bellissimo esempio di comunità».

Insieme al supporto alimentare, è stata anche offerta un’assistenza sanitaria, concretizzatasi in una sorta di campo medico itinerante: «In neanche tre settimane» prosegue Ross «ho visitato più di duecento persone. C’erano comunità che non vedevano un medico da tre/quattro anni. Ho lasciato farmaci e materiali di automedicazione raccolti e portati dall’Italia, oltre a ulteriori medicine per una spesa di 500-600 euro comprate sul posto in base alle maggiori esigenze riscontrate, da tenere nei dispensari dei vari villaggi».
Ross evidenzia quindi come «Cuore attivo Monterosa» possa contare su alcuni importanti sponsor, quali Moncler e l’associazione milanese Fondazione Corti, senza i quali non sarebbe stato possibile mettere in piedi tutta la macchina organizzativa, e come, allo stesso modo, siano state e sono fondamentali le offerte raccolte sul nostro territorio: «Quello che conta è il gesto, non la cifra donata. C’è stata gente che era in visibile difficoltà e che, comunque, ha voluto sostenerci, dimostrando una commovente generosità. Noi chiaramente ci autotassiamo, il viaggio è a carico nostro e tutto quanto raccolto lo destiniamo, nella massima trasparenza possibile, per la concretizzazione dei progetti prefissati».

La dottoressa poi si concentra sulle emozioni di questa esperienza, che, dice «entrano nel cuore. I momenti che porterò sempre con me sono tantissimi; certo, viaggi di questo tipo non sono vacanze; la fatica è tanta, fa freddo; devi adattarti a dormire nel sacco a pelo, a un’alimentazione completamente diversa da quella cui sei abituato, devi rinunciare alle quotidiane comodità. Ma basta guardare negli occhi questa gente e la fatica passa subito in secondo piano. Persone solitamente molto riservate che, invece, dimostrano tutta la loro felicità per poter essere curate o per ricevere quel sacco di alimenti, sebbene sappiano che potrà garantire sostentamento per al massimo un mese o poco più. In tanti mi hanno chiesto perché alla mia età – ho sessant’anni – mi sia impegnata in queste missioni. E forse la riposta è quella più semplice che ci possa essere: perché amo la vita e questi progetti sono proprio l’espressione più autentica del mio amore per la vita. Non è tanto quello che tu fai per queste popolazioni, ma quello che ricevi, che è infinitamente superiore. L’affetto con cui queste genti ci hanno accolto, la loro gratitudine hanno riempito i nostri cuori».

Ross racconta come anche nei mesi più difficili della pandemia, abbia in cuor suo sempre confidato di riuscire a partire: «In Pakistan non ci vanno in molti, in questi villaggi c’è tantissima povertà, gente che vive isolata sottoterra per mesi, al freddo, con l’acqua letteralmente gelata, nel silenzio più completo. Poter fare nel nostro piccolo qualcosa per aiutare queste popolazioni è stata la motivazione più grande. Qualcuno – non dei miei pazienti, almeno che io sappia – quando ha saputo di questo viaggio ha storto un po’ il naso. “Come, proprio adesso che c’è grande bisogno di te qui per via della pandemia, tu te ne vai dall’altra parte del mondo…». Beh, sono partita molto serenamente, consapevole di aver dato alla gente della mia valle più di trent’anni del mio costante operato. Tre settimane sarebbero comunque passate velocemente e quella era un’esperienza che ci tenevo a vivere e condividere anche con mio marito Paolo; i nostri figli, e quella era la cosa fondamentale, ci hanno dato la loro approvazione. E sono felice di aver assecondato questo mio desiderio. Mi ritengo tra l’altro molto fortunata a svolgere una professione come quella del medico, perché mi permette di avere “in mano” un’attività tra che posso esercitare in ogni parte del mondo».

Ross parla poi anche dei suoi «compagni di viaggio», e in particolare si sofferma su Chiara e Matteo, entrambi alla loro prima volta in Pakistan: «E’ stata un’esperienza davvero molto positiva, nonostante tra noi ci fosse una differenza di età importante. Ma sono due giovani pieni di idee e di solidi principi, che hanno affrontato questo viaggio con motivazione ed entusiasmo davvero ammirevoli. Ho visto Chiara con le lacrime agli occhi incontrando un bambino disabile, perché in questi paesi la disabilità ti toglie davvero il fiato. Chiara, che per altro è una bravissima fotografa, sta anche realizzando un documentario su questa nostra missione da cui traspare tutta questa sua sensibilità».

Chiediamo quindi a Ross se ha intenzione di continuare questi progetti. La sua risposta non lascia alcun dubbio: «Quando ci siamo fermati nei vari villaggi abbiamo avuto modo di visitare anche le scuole. I bambini non avevano nemmeno le divise e spesso mancava loro anche il materiale didattico essenziale. Questa cosa non è passata inosservata: tornati a casa, Chiara si è subito mobilitata per recuperare della stoffa e io ho già chiesto a delle mie pazienti che se la cavano bene con ago e filo, la possibilità di realizzare degli astuccini; ne abbiamo previsti circa 600 che faremo avere a queste comunità. E poi, sicuramente, andremo avanti con i nostri progetti in Nepal dove abbiamo già concretizzato sogni importanti».

Solitamente l’associazione era solita organizzare anche delle serate per raccontare di queste missioni solidali; un modo per meglio far conoscere anche alla gente delle nostre valli (ma non solo) l’attività portata avanti, per sensibilizzare su queste tematiche un numero sempre maggiore di persone, così da trovare, magari, anche nuovi sostegni. Con il Covid non è più stato possibile. Nell’attesa di ritornare ad ascoltare tutto questo dalle loro «voci», abbiamo comunque provato a raccontarvi questa intensa esperienza. Un modo, anche, per rendere merito a persone dal cuore grande e generoso che si sono mobilitate per ridare speranza a popolazioni che stanno affrontando un periodo particolarmente difficile. Una piccola goccia, certo, ma infinitamente preziosa.

Per chi volesse effettuare una donazione a sostegno dei progetti portati avanti dalla onlus valsesiana, questo è il codice Iban: IT58 C 05034 44230 000000003111.

E tu cosa ne pensi?

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