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Ghemme: «Essere donna» a Spazio E

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Venerdì 15 marzo, atmosfera emozionante all’inaugurazione della settima edizione della collettiva dedicata alla donna; l’allestimento è stato curato come sempre dalla titolare di Spazio E: la poliedrica artista e chef Enrica Pedretti.
L’articolato spazio espositivo permette ai singoli artisti di trovare una collocazione individuale, che ben si coniuga con il tema dell’esposizione: la donna come protagonista nell’arte e nella vita. Ogni artista declina il tema della donna con accenti, sensibilità e tecniche diverse: pittura, scultura, installazioni, fotografia, oli, acrilici, polimaterici. Alcuni danno un titolo alle loro opere, altri preferiscono lasciare completa libertà interpretativa al visitatore. Il «Male oscuro»: una scultura in cemento di Silvana Marra, racconta un tema complesso e doloroso: la depressione che rinchiude. Roberto Nociti, artista milanese, presenta due ritratti frontali di «ragazze» di quartiere, per raccontare la sfida di una Milano in continua evoluzione. Gabriele Vanini, giovane pittore novarese, tratteggia figure che paiono uscire dalla pubblicità delle griffes, ma con un’anima. L’artista di origine olandese Florine Offergelt in questa edizione della mostra è tornata ai primordi dei suoi lavori, con una scarpa rotante in ceramica, dipinta e curata nei particolari, per dare ali ai passi delle donne, Viola Virdis, cuneese che è vissuta a lungo a Nizza, propone due ritratti femminili: una giovane ragazza e una bimba che conquista per la sua pelle di pesca e lo sguardo volto al futuro. Francesca Magro propone figure complesse e tormentate, che paiono provenire da altri mondi, comunicando e trasmettendo conoscenze e saperi. Antonella Gerbi nelle sue sculture incarna le inquietudini del presente, contrapposte all’eterno presente delle lingue ancestrali degli aborigeni che Bruce Chatwin descrisse nel volume «Le vie dei canti». Carlo Bettoni espone coloratissime «bamboline» realizzate con la tecnica della ceramica Raku, che paiono dialogare con le due grandi tele di Angelita Mattioli, «Anatomia di un dolore» e «Laura metà», mentre Alessandra Tria ha scelto di rappresentare un momento di riflessione, di tregua: da un rosso senza sfumature poggiata sul blu della terra madre, una giovane donna si raccoglie nella propria intimità. Nell’ultima parte della mostra espongono due artisti romani, con profondi legami con la Valsesia: Giovanni Reffo che colpisce duro con «Stupro» e Loredana Manciati con «Dialoghi fra donne». Cate Maggia ha scelto di raccontare in quattro tappe la strada per abbandonare i «Fantasmi del passato» e ritrovare l’armonia che pareva essere perduta. Damiana Degaudenzi, artista valsesiana, nell’opera «Il Mana» esprime quel potere spirituale che esiste in ogni essere vivente, mentre al centro della sala Mariagrazia Degrandi, doccese, espone «Namastè», il tradizionale saluto nepalese, proferito con una dolcezza che sta tutta racchiusa nel marmo serpentino di Oira. La novità di questa edizione è una sala dedicata alla fotografia d’arte: tra gli autori, da Marina Caccia a Carlo Olivero, spiccano i nomi di Francesca Galliani, che vive e lavora a New York e di Renzo Chiesa, noto per aver fotografato i principali protagonisti del mondo musicale contemporaneo. Nella presentazione sono state lette tre poesie di Angelita Mattioli, tratte dal volume-catalogo artistico «L’altra metà», molto distanti tra loro cronologicamente, che sanno raccontare il difficile cammino fatto dalle donne, che «Raccoglie i giorni per farne dono». La mostra è aperta fino al 28 aprile, il giovedì dalle 16 alle 22, da venerdì a domenica dalle 11 alle 22.

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