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«Il vaccino? Da fine gennaio potrebbe essere disponibile»

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Mercoledì scorso verso sera ho raggiunto telefonicamente il neo direttore sanitario ASL Vercelli, dott. Gualtiero Canova, che è anche direttore della SC di Chirurgia Generale di Borgosesia: a che punto siamo con questa lunga pandemia?
Disponibilissimo (grazie per il tempo che mi ha dedicato, nonostante il periodo decisamente «intenso»), mi ha spiegato e anche chiarito alcuni aspetti dell’attuale situazione d’emergenza sanitaria qui in valle. Tipo: il nostro presidio del Santi Pietro e Paolo era, sì, stato dichiarato dalla Regione Ospedale Covid ma poco dopo ha potuto beneficiare di una deroga: accanto ai percorsi per coronavirus, cosiddetti «sporchi», ne è stato lasciato uno «pulito»: «Il nostro» mi ha detto il dott. Canova «è un territorio montano, presenta determinate caratteristiche e manifesta precise esigenze. Su queste basi, a livello regionale è stato deciso che si sarebbe potuto derogare: non un Pronto Soccorso come in tempi normali ma certamente un Punto di Primo Intervento sempre attivo e che possa accogliere pazienti le cui condizioni non richiedano l’utilizzo di grandi risorse».

Per intenderci: se mi tagliassi un dito, potrei accedere al PPI di Borgosesia o mi toccherebbe rivolgermi a un altro ospedale, magari Borgomanero, o Novara o Vercelli? «Ecco, ben venga questo esempio: chi si ferisse e avesse necessità di essere medicato e cucito si rechi tranquillamente al PPI del Santi Pietro e Paolo, dove sarà preso in carico per le cure del caso». Invece, un infartuato? «Il paziente che presentasse questa condizione verrà accolto, sottoposto a diagnosi e poi trasferito in sicurezza in altro presidio per le necessarie terapie. In sostanza: chi arriva al PPI non trova le porte chiuse ma, sempre, qualcuno che si occupi della sua patologia, il territorio così non è sguarnito. Tengo a precisare un’altra cosa: non si deve avere paura di entrare al Punto di Primo Intervento, non c’è rischio di contrarre il virus, esistono appunto quelli che chiamiamo percorsi “puliti”. L’ospedale è un luogo molto più sicuro di altri nei quali analogamente vi è flusso di persone».

Ragionando sulla «capacità» di entrambi i presidi territoriali, Sant’Andrea e SS. Pietro e Paolo, i posti covid: ce n’è ancora qualcuno libero? «I letti riservati ai malati di coronavirus» ha precisato il medico «sono in totale, tra Vercelli e Borgosesia, 186, comprensivi dei 14 di terapia intensiva, e pressoché tutti occupati. La quota residuale giornaliera si aggira sui 6/7 posti: insomma, esiste un turn over e il sistema regge e può contare ancora su una certa autonomia anche sulla base dello sforzo che sta facendo la medicina territoriale per curare un grande numero di malati a casa. Grazie a questa sinergia tra le componenti sanitarie, siamo comunque sempre riusciti a rispondere alla richiesta di cura e a mantenere un equilibrio tra ricoveri, dimissioni e cure domiciliari. In ogni modo, se dovesse rendersi necessario, il programma prevede una ulteriore attivazione di posti letto sia a Borgosesia che a Vercelli. E i disagi» riconosce il direttore sanitario, «non sono riconducibili tanto a problemi di spazio, a dove collocare cioè eventuali letti in più, quanto al reclutamento del personale, nota dolente. Esistono però graduatorie cui attingere, quindi, seppur con fatica, a volte in affanno, si è sempre comunque arrivati a sopperire. Insomma, la situazione attuale che si trova ad affrontare l’Asl VC è impegnativa, diciamo pure anche grave, ma ancora certamente sotto controllo».
Una seconda ondata sicuramente pesante ma, rispetto alla prima, quanto?
«Il virus è, al momento, più contagioso ma meno aggressivo, relativamente alla sintomatologia. La prima ondata, da marzo, ci aveva colti impreparati in materia: avevamo avuto tantissimi casi in pochissimo tempo, tutti insieme, difficili da trattare, con parecchi decessi, di persone anziane e/o portatrici di comorbilità. Adesso il sistema è più preparato. Non si assiste più, come allora, al corteo delle bare di Bergamo, anche se di ammalati e di decessi ce ne sono ancora tanti».

L’ultimo Dpcm, quello che ha introdotto rinnovate restrizioni suddividendo il territorio nazionale in tre aree distinte per colore a seconda dell’ampiezza di diffusione del covid (zona rossa, la più esposta al contagio, per il Piemonte), è in vigore da due settimane: se ne scorgono gli effetti? il numero delle persone colpite dal virus è in calo? «Certamente le conseguenze delle limitazioni si vedono, i contagiati aumentano ancora ma in misura minore, e così i ricoveri; la velocità di trasmissione del virus diminuisce, sia a livello nazionale che regionale. Chiaro» riconosce Canova, «una chiusura totale avrebbe portato, porterebbe, a ricalcare la situazione sperimentata la scorsa estate, di calma e tranquillità. Basti guardare a Paesi come la Cina, dove le norme da osservare in maniera strettissima hanno consentito di abbattere totalmente la quota dei contagi. Noi però, in Italia come in altre nazioni europee, non potremmo accettare questo genere di imposizioni e quindi si è scelto di imboccare la via del compromesso: non bloccare ma rallentare la diffusione del virus per permettere alle strutture sanitarie di reggere l’urto e intanto cercare di salvaguardare l’economia. Considerazioni personali, queste, che peraltro derivano da chiare evidenze».

Quali sono le prospettive? «Dobbiamo continuare a utilizzare i dispositivi di protezione individuale, e quindi indossare le mascherine, lavarci o igienizzarci le mani, mantenere il distanziamento, soprattutto il distanziamento. Sono, queste, le uniche difese che abbiamo e con le quali, individualmente, possiamo contrastare il covid. Non c’è cura; non c’è la medicina che uccida il virus: cortisone, eparina, antibiotici agiscono sugli effetti dell’infiammazione indotta dal virus ma il virus non lo uccidono. A chi ha sintomi respiratori più gravi viene somministrato l’ossigeno che è però un trattamento “sintomatico” esattamente come lo sono gli antipiretici».

Speranze per il futuro, per un vaccino? «Direi di sì, direi che le notizie sono buone. Dalla Regione ci hanno chiesto proprio nei giorni scorsi di fornire informazioni sulle possibilità di stoccaggio, ovvero sul numero e le caratteristiche dei frigoriferi di cui disponiamo. Quindi, quel che si legge sui giornali e che si sente in tivù su un vaccino presto disponibile corrisponde alla realtà. Le prime dosi potrebbero venir pronte da gennaio per essere somministrate alle fasce deboli, alle persone più a rischio; poi via via, arrivando all’estate 2021 la disponibilità dovrebbe essere per tutti».

Grazie, dott. Canova, per questo utile e interessante approfondimento, che ci potrà dare la fiducia necessaria a resistere e a guardare avanti.

E tu cosa ne pensi?

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