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Interclub con il giornalista Paolo Bricco che ha parlato di Sergio Marchionne

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Giovedì 24 gennaio a Gattinara si era svolto il primo di tre incontri Interclub organizzati dai Rotary Club Valsesia, Gattinara e Biella: ospite la giornalista russa Anna Zafesova, che aveva parlato della “Russia di Putin”. Il secondo incontro Interclub con il Rotary Club di Valle Mosso, si è tenuto giovedì 21 febbraio al Circolo Cacciatori di Vallemosso e ha avuto come relatore il giornalista e scrittore Paolo Bricco, che ha presentato il suo ultimo libro: “Marchionne lo straniero”, pubblicato a ottobre 2018. Paolo Piana, Presidente del Rotary Club Vallemosso, ha presentato Paolo Bricco: “Inviato speciale del “Sole 24 Ore”, autore di inchieste, réportages e analisi sull’industria dell’auto, la manifattura europea e internazionale e le politiche industriali, nel 2016 vincitore della quindicesima edizione del Premio Biella Letteratura Industria con: “L’Olivetti dell’ingegnere. 1978-1996″”.

Sergio Marchionne, fu tre volte straniero: in America, come figlio di un carabiniere abruzzese emigrato in Canada: “Era un vero “self made man”, uno “street fighter”, un combattente di strada, quando arrivò a Torino nel 2004, chiamato da Umberto Agnelli per prendere in mano la Fiat nel delicato momento di transizione dopo la morte di Gianni e poi dello stesso Umberto, evitandone il fallimento, conducendola nel 2008 all’acquisto e alla riorganizzazione di un gigante decaduto dell’industria americana come Chrysler, affidatogli da Barack Obama, il primo Presidente nero nella storia degli Stati Uniti, perché Marchionne lo convinse del fatto che Fiat era coerente con il suo progetto industriale: tecnologie per motori piccoli. I tecnici italiani insegnarono agli americani a fare industria: nacque il gruppo internazionale Fca, che divenne il quinto gruppo mondiale dell’auto”. Marchionne era straniero anche a Torino, dove non conosceva nessuno e nessuno lo conosceva, ma fu anche straniero rispetto al mondo stesso dell’automobile, in quanto non era un ingegnere, ma un laureato in filosofia, con un Master in Legge e uno in Economia. La filosofia fu proprio la chiave del suo successo: “Non so se la filosofia mi abbia reso un avvocato migliore o mi renda un amministratore delegato migliore, ma mi ha aperto gli occhi, ha aperto la mia mente ad altro” per Bricco: “Marchionne era quello che siamo noi italiani: è atipico. E’ molto italiano nella sua formazione culturale, si è costruito un forte profilo umanistico. Marchione paradossalmente fu meno straniero tra gli operai del gruppo, che compresero come i sacrifici che venivano loro chiesti non erano un semplice capriccio padronale, ma erano necessari per far rinascere l’azienda e soprattutto per non rimanere tutti a casa”.

Preparando questa presentazione, l’autore si era chiesto che cosa di questo libro potesse davvero interessare i Biellesi: la risposta era stata immediata, poiché la storia di Marchionne è quella di un imprenditore e non solo di un manager, in essa si possono identificare molti di coloro che vivono nelle fabbriche e affrontano successi e insuccessi: “Quella di Marchionne fu una storia segnata da un’ascesa vertiginosa e da una drammatica ed imprevista fine, dovuta alla malattia, ma la modernità di Marchionne è ciò che lo distingue, perché è la modernità del confronto concreto e continuo sulle cose: cambia il clima all’interno dell’azienda, ma soprattutto modifica l’anima delle persone, ridando l’orgoglio aziendale. Il suo è stato un messaggio importante per la vita e la società culturale di questo paese che oggi non si sente tanto bene”: Bricco non ha tralasciato di parlare anche dei fallimenti: “L’operazione condotta nel 2015 nei confronti di General Motors che non andò in porto, lo scontro durissimo con i Sindacati, la crisi finanziaria mondiale del 2008 che fece saltare il piano di investimento produttivo “Fabbrica Italia”, ma dobbiamo ammettere che Sergio Marchionne accelerò l’uscita dell’Italia dal Novecento: mediò tra i sogni e i compromessi con la realtà, stabilì che l’Italia non poteva più produrre auto di bassa gamma, dicendo che doveva salire di specializzazione produttiva, diventare base di esportazione per il Nord America, voleva fare dell’Italia il polo del lusso: nelle sue previsioni entro il 2018 l’Alfa Romeo sarebbe passata da 80.000 a 400.000 vetture: “Voglio un modello di Alfa Romeo per ogni BMW”, ma questo sogno non si realizzò”.

Nel suo ultimo discorso a Balocco Marchionne appariva distrutto dalla fatica, ma presentò un suo piano industriale: “Il suo successore, Mike Manley, non ha neppure un ufficio al Lingotto, quindi adesso c’è un senso di incognito, un’atmosfera oscura per la comunità nazionale e anche per noi piemontesi” e quindi secondo Bricco la morte di Marchionne ha rappresentato davvero la chiusura di un ciclo storico.

All’intervento hanno fatto seguito molte domande su John e Lapo Elkhan, quest’ultimo definito: “Personaggio pittoresco, sottovalutato: fu lui che creò la Cinquecento”. Bricco ha poi spiegato che l’elettrico per Marchionne era un azzardo che si poteva tentare solo se si avevano i soldi, ma visto che non c’erano, era chiaro che non si poteva neppure pensarci.

Bricco ha descritto il libro come fatto molto di luoghi: “C’è questo continuo discorso tra la persona e il paese, la persona e l’azienda. La cosa che maggiormente mi ha colpito nel lavoro di Marchionne, più che la frequentazione, è la sua “ars combinatoria”, la capacità di mettere insieme cose che nulla sembrava potessero avere a che fare l’una con l’altra, oltre alla dedizione totale, quasi usurante, autodistruttiva, al lavoro e all’azienda. L’identificazione tra Sergio Marchione e il gruppo fu totale, ma questo fu anche il suo limite: Marchionne era il manager imprenditore per le ore buie, per la ristrutturazione, non sappiamo se sarebbe stato un altrettanto grande manager per le ore del giorno, per lo sviluppo”.

Il libro di Bricco non è certo un “instant book”, di quelli furbescamente confezionati dalle case editrici per determinate occasioni o eventi, anzi quella morte improvvisa ha sconvolto i piani editoriali, costringendo l’autore ad una revisione, per raccontare quattordici anni di storia industriale, politica, sociale, del mondo globalizzato.

Il 18 marzo a Biella, la giornalista Chiara Ottaviani, ai tre Rotary riuniti in Interclub, parlerà di: “La Turchia di Erdogan”.

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