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Presentati gli strabilianti risultati del restauro della tavola dell’Angelo Annunciante

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Sabato 26 gennaio in Pinacoteca a Varallo sono stati presentati gli strabilianti risultati del restauro della tavola dell’Angelo Annunciante, definitivamente attribuito a Gaudenzio Ferrari e ascrivibile agli anni tra il Quindici e il Venti del Cinquecento, coeva alla tavola di San Francesco che riceve le stigmate.

Il Presidente Mario Remogna era particolarmente felice di aver concluso questa complessa operazione culturale, resa possibile anche da chi ha finanziariamente contribuito: il Sindaco Eraldo Botta e il Comune di Varallo, sempre molto sensibili nei confronti del proprio patrimonio storico-artistico, la Fondazione Banca Popolare di Novara, rappresentata dalla Consigliera Paola Riolo, il Comitato Carnevale con il suo Presidente Simone Berardi, ed alcuni sponsor privati, la famiglia Gianni Nettis e Claudia Fila e Mauro Armosino.

Carla Falcone, Direttore e Conservatore della Pinacoteca, ha ringraziato chi ha collaborato per il restauro, dal Professor Giovanni Agosti, curatore con Jacopo Stoppa della mostra di Gaudenzio, a Isabella Villafranca Soissons, direttore di Open Care, e Guendalina Damone, responsabile della sede di Factum Foundation di Milano.

La prima volta che si trova menzione della tavola è nella Guida del Sacro Monte, edita dal Sesalli nel 1566, (presente nel Fondo Durio della Biblioteca Civica “Farinone-Centa” di Varallo) che la segnalava nella chiesa vecchia – che sorgeva dove oggi c’è l’Albergo del Pellegrino, abbattuta nel 1773 – mentre non era citata nella Guida del 1514.

Gaudenzio Bordiga nella “Storia e guida del Sacro Monte di Varallo” del 1830 (edizione molta rara e presente anch’essa nel Fondo Durio della Biblioteca), scrive che l’Angelo annunziante si trova nella chiesa dell’Assunta, nella quarta cappella dove c’è l’altare a San Pietro d’Alcantara, mentre la Vergine Annunciata non è citata. Nel 1885 in occasione della mostra per il quarto centenario di Gaudenzio, l’Arienta, nel catalogo manoscritto, considera l’opera non ascrivibile al Maestro, ma di scuola gaudenziana, e qualche anno dopo, nel 1892, reputa che l’opera sia una copia.

Fu Giovanni Testori, in occasione della mostra gaudenziana di Vercelli del 1956, a rivendicare l’attribuzione a Gaudenzio. L’opera oggi ha recuperato le delicate cromie gaudenziane: verde, rosso e rosa, l’ala morbida di piume, la coroncina di biancospino e clematide e i capelli scintillanti, lumeggiati in oro, le stesse lumeggiature che si vedono nel paesaggio che fa da sfondo: “Paesaggio impressionista per questi tocchi dorati” come lo definì Agosti. Falcone ha poi descritto gli angeli gaudenziani più vicini a quello restaurato: quello del polittico di San Gaudenzio a Novara, e quello del polittico disperso tra varie collocazioni e ricostruito per la mostra.

Paola Angeleri, conservatore, si è occupata di ricostruire la fortuna visiva dell’Angelo annunciante e di presentare le molte copie, che attestano la fortuna di questo modello iconografico: “Si tratta spesso di opere di livello qualitativo modesto: a Massino Visconti, nell’oratorio della Madonna di Loreto, un affresco di Sperindio Cagnoli, l’Annunciazione dell’arco trionfale della chiesa di San Marcello a Paruzzaro, sempre di Sperindio, ma anche i due tondi gaudenziani in Collegiata, rientrati dopo un lungo restauro, datati 1515: figli direttissimi dell’Angelo e della Vergine al Sacro Monte, e i più modesti affreschi della chiesa di San Lorenzo a Dughera di Piode”.

Chissà dov’è finita la Vergine Annunciata, della quale si erano già perse le tracce nel Settecento, quando fu abbattuta la chiesa vecchia e gli arredi trasferiti nella chiesa nuova? Le copie, ha spiegato Paola Angeleri, possono aiutare ad immaginare come poteva essere la tavola della Madonna scomparsa: nell’oratorio di San Gottardo di Borgomanero, due tele del Seicento, di qualità modestissima, ci fanno pensare che la tavola perduta con la Madonna la raffigurasse a figura intera, le mani sul petto e lo sguardo chino. La stessa soluzione in affresco, datata 1654, è stata ritrovata nell’Oratorio della Madonna della Riva a Cervarolo.

Il tema delle derivazioni da Gaudenzio Ferrari è sottile: Paola Angeleri ha accennato solo alle relazioni precise, certe, perché occorre sfuggire alle assonanze, cercando sempre dati concreti. Uno dei risultati della mostra varallese è stato proprio quello di aver presentato un Gaudenzio non monolitico, andando oltre la logica troppo vercellese della mostra del 1956: in realtà la lezione di Gaudenzio informa tanta parte del territorio lombardo e piemontese”: Giovanni Agosti ha sottolineato l’importanza delle ricognizioni sul territorio per rintracciare derivazioni non conosciute, come quella da lui ritrovata a Varallo, proprio in riva al Mastallone: una lunetta che è riproduzione di quella celeberrima di Gaudenzio a Roccapietra, con alcune complicazioni: “Anche episodi minori meritano un censimento sistematico, perché servono a raccogliere informazioni per comprendere i più autorevoli originali. Nei depositi dei parroci più o meno illuminati, come Don Ferri a Boccioleto, si possono trovare opere interessanti per confronti”. Ci si può chiedere fino a quando Gaudenzio fu modello e poi invece divenne autorevole Tanzio, ma per Giovanni Agosti soprattutto è importante esplorare e talvolta si è fortunati e si trovano pezzi interessanti, come è accaduto allo stesso storico dell’arte sfogliando un catalogo di collezioni private cilene, in cui ritrovò i tre angioletti mancanti della predella del Duomo di Novara e anche il disegno preparatorio del polittico.

Isabella Villafranca Soissons, direttore di Open Care, ha spiegato come la tavola gaudenziana sia stata scelta per la scansione in 3D e il restauro da parte di Open Care Servizi per l’Arte: “L’opera era intrigante e ha colpito il Comitato Scientifico, quindi è stata scelta tra un centinaio, ma lo stato di conservazione era tale da richiedere altri contributi per il restauro”. La tavola è di noce, mentre solitamente Gaudenzio usa il pioppo, ma anche quella delle Stigmate è di quell’essenza. La restauratrice ha spiegato la complessità del restauro, preceduto da una esaustiva campagna diagnostica. Sotto la ridipintura lo stato di conservazione era eccellente e quindi più restauratori hanno lavorato in contemporanea per sei mesi per la pulitura a bisturi. Durante il lavoro sono emerse anche le impronte digitali dell’artista: “Le uniche parti che non erano state ridipinte erano il volto e le mani”.

Guendalina Damone, responsabile della sede di Factum Foundation di Milano, ha illustrato l’operato della Fondazione madrilena, dedicata allo sviluppo e all’utilizzo di tecnologie di documentazione digitale, che ha permesso di utilizzare lo scanner laser Lucida, un nuovo strumento dalle eccezionali potenzialità: “Un sistema che realizza un sogno per chi si occupa di conservazione delle opere d’arte”, come ha spiegato il funzionario della Soprintendenza, Massimiliano Caldera che ha conosciuto questo nuovo sistema di scansione delle opere d’arte. Quando è uscito il Bando Lucida, la Pinacoteca ha proposto l’Angelo, una tavola complessa: Open Care e Lucida potevano aiutare a decifrarla. Sono stati subito sciolti tutti i dubbi sull’autenticità dell’opera, ma ci si è anche resi conto della gravità della situazione conservativa e della difficoltà di capire quale fosse il reale stato di conservazione, al di là delle ridipinture, che erano comunque antiche, fatte con materiali e tecniche tradizionali e puntualmente fedeli al dettato pittorico originale. Soprattutto era una situazione impegnativa anche dal punto di vista finanziario, ma, come ha sottolineato Caldera, si sono costruite intorno una sensibilità ed un’attenzione tali da poter raggiungere i grandi risultati che ora sono sotto agli occhi di tutti: la veste dell’angelo si è rivelata di un rosa luminoso, “Un bianco soffiato di rosa”, rivelando un’immagine che aveva un profondo e chiaro afflato seduttivo, per cui anche nella ridipintura, avvenuta presumibilmente all’altezza del primo neoclassicismo, si decise di mantenere quella qualità figurativa, come omaggio al pittore.

Al termine degli interventi si è passati nelle sale della Pinacoteca per poter ammirare l’opera dal vero ed è stata una pura meraviglia.

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