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Sabato 16 luglio a Campertogno giornata di Studi dedicata a Dolcino: “Il personaggio storico e il mito”

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CAMPERTOGNO – Il teatro di Campertogno, restaurato (2000-2004) con dei fondi per i centri polifunzionali è stato denominato Teatro Del Centro Polifunzionale “Fra’ Dolcino”, mentre il salone è stato dedicato a Paolo Vimercati, il Sindaco che tanto contribuì a restaurarlo ed a valorizzarlo: quale miglior luogo per farne sede di una Giornata di studi incentrata su questo personaggio storico che scelse di salire in alta valle, lasciando memoria di sé nella storia e nel mito?

Il neo Sindaco di Campertogno, Miriam Giubertoni, ha portato il saluto dell’Amministrazione Comunale, ringraziando i relatori, il pubblico e soprattutto l’infaticabile organizzatrice, Dina Traversaro, responsabile della Biblioteca intitolata al compianto Don Piercesare De Vecchi e consigliere comunale che da oltre un anno lavorava a questo evento: ideato, messo a punto e concretizzato in modo davvero eccellente.
L’obiettivo della giornata di studi non era certamente quello di affrontare la tematica dolciniana in tutta la sua ampiezza, ma di fare il punto sulla scelta del territorio valsesiano come terra dove insediarsi e vivere liberamente. Il Sindaco ha sottolineato l’importanza di: “Ricordare chi siamo, vivere un presente consapevole per capire quello che possiamo diventare”. Per Attilio Ferla, Assessore alla Cultura dell’Unione Montana: “Valsesiano, ma non solo, è l’interesse di questo convegno su una figura conosciuta, con approfondimenti legati al nostro territorio”.
I relatori rappresentavano Enti ed Istituzioni Culturali non solo locali: Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia, Archivio Diocesano di Novara, CAI Sezione di Varallo, Commissione Scientifica Pietro Calderini, Biblioteca Civica “Farinone-Centa” di Varallo (che aveva preparato una piccola mostra di cimeli bibliografici dolciniani), Centro Studi Dolciniani di Cossato, Biblioteca “Don Piercesare De Vecchi” di Campertogno.

Gli interventi della mattinata eran incentrati su Fra’ Dolcino – Il personaggio storico, mentre quelli del pomeriggio su Il mito Dolcino.
Alessandro Orsi ha delineato la figura militare di Dolcino nella storia recente, facendo notare alcune singolari coincidenze: due anni trascorse Dolcino in Valsesia, due anni durò la lotta partigiana, vi furono molte località comuni alle azioni di entrambi. La vicenda di Dolcino era ben conosciuta tra i partigiani: le “strategie” dolciniane, come la “guerriglia per bande” vennero discusse e analizzate, per evitare gli stessi errori e il comandante Cino Moscatelli ne parlò in: “Il Monte Rosa è sceso a Milano”, ma, sottolineando il singolare ribaltamento speculare dei due percorsi: Dolcino dalla pianura salì verso la montagna, i partigiani fecero l’inverso con la “pianurizzazione”. Dolcino a fine Ottocento, inizio Novecento fu associato alle teorie socialiste: gli furono dedicate vie in alcuni paesi della Valle, che neppure i fascisti riuscirono a cancellare. Orsi ha concluso il suo intervento con una sorta di “riconciliazione dolciniana”: la vicenda del partigiano Agostino Zanzola (Terribile), ferito a Campertogno, nascosto e curato dal Parroco Don Cortelletti, arrestato dai fascisti per una spiata e fucilato ad Alagna, mentre il parroco fu massacrato di botte.

Claudio Sagliaschi, storico pratese, in: “Fra’ Dolcino e Prato Sesia, alle porte della Valsesia”, ha delineato la figura di Dolcino, collocandola nello specifico contesto territoriale, ricordando che a quei tempi Novara contava cinquemila abitanti, e a Romagnano e Prato c’era un ventesimo della popolazione di oggi: 700/800 persone, circa duecento famiglie, si viveva di una agricoltura di sussistenza, c’era un’ampia presenza di boschi, brughiere, incolti. Segnalando dei dubbi sulla reale consistenza degli avversari dolciniani lo storico ha ricostruito il percorso di Dolcino lungo quella che era la Via Romana, aggirando il Motto del Sasso, strapiombante sulla strada, che consentiva il controllo di tutti coloro che attraversavano il fiume, accennando al ponte di barche, che sarebbe stato fatto costruire da Dolcino, ipotizzando le strategie degli imperiali, comandati da Simone di Collobiano. Sagliaschi ha invitato a cercare il fondo di verità che esiste nei racconti, nelle leggende popolari e nella toponomastica, concludendo con il racconto della vicina di casa Savina, che da bambino lo invitava a non salire da solo ai ruderi del castello di Sopramonte per la presenza di Fra Paulin, un nanerottolo che indossava la talare nera con trentatrè bottoni, il quale catturava i bambini per mangiarseli.

Purtroppo per motivi di salute era assente Don Paolo Milani, Direttore dell’Archivio diocesano di Novara, che avrebbe dovuto parlare delle posizioni ecclesiastiche circa le vicende dolciniane, ma ha inviato alcune comunicazioni sulla tematica che avrebbe dovuto svolgere: “Il nostro lavoro di ricerca storica si pone in un atteggiamento di onestà intellettuale, attuando una seria investigazione attraverso la documentazione e gli indizi che il tempo ci ha consegnato, senza negare né “il personaggio storico”, né “il personaggio mitico”, anch’esso ormai degno di attenzione storica. Cerchiamo di considerare l’evento Dolcino in quella dinamica sociale ed ecclesiastica tra XIII e inizi del XIV secolo, dove vi è “da un lato, il moltiplicarsi delle esperienze religiose in mille direzioni e, d’altro lato, il crescere dell’intolleranza ecclesiastica verso ogni forma di autonomia” ( come scrive G. G. Merlo in Eretici ed eresie medievali). Si entra nella problematica, di non sempre facile soluzione dal punto di vista storico e storiografico, della definizione dell’eresia e dell’eretico. In questo intervento non vogliamo delineare l’intera vicenda dolciniana, né offrire una panoramica completa ed esauriente di tutta la documentazione ad essa inerente, ma solamente offrirne una prospettiva, soprattutto dal punto di vista dei documenti ecclesiastici, che ci aiuti a cogliere l’immagine percepita (in parte anche costruita) e poi diffusa dalla Chiesa”.

Roberto Fantoni, storico, ha analizzato e motivato: “La scelta stanziale di Fra’ Dolcino in Valsesia”, con uno studio sull’ultimo periodo della vicenda dolciniana, facendo un costante e puntuale riferimento alle scarse fonti disponibili: da quelle ecclesiastiche, Anonimo Sincrono e l’inquisitore Bernard Gui, i processi ai dolciniani, intentati prima, durante e dopo la morte di Dolcino, i Commentatori di Dante, primo fra tutti Benvenuto da Imola, che cita eventi non riportati da altre fonti. Fantoni ha messo in guardia contro due “falsari”: il Fassola, che nel Seicento inventa documenti falsi per dar lustro ai propri antenati e Padre Filippo da Rimella che a Scopa tiene una famosa orazione sulla Lega dei Valsesiani contro Dolcino, pubblicata nel 1793, scritta per limitare i venti della rivoluzione francese, opponendovi l’integralismo cattolico.
“Tra il 1290 e il 1300 Dolcino fu invisibile a qualsiasi fonte, seguì il periodo emiliano 1300 – 1302, trentino 1302- 1303, in cui fu predicatore errante, poi iniziò la “lunga marcia” verso la Lombardia, l’incontro con il ghibellino Matteo Visconti presso Martinengo, nel territorio bresciano, l’arrivo alle porte della Valsesia e lo scontro con il movimento inquisitoriale. La scelta della Valsesia certo fu fatta anche per la presenza nelle file dolciniane di Federico Grampa, il cui cognome rimanda ad un importante insediamento della Valsesia medievale: Grampa di Mollia, cui si aggiunse la figura di Milano Sola, anche lui come Grampa presente nel giuramento di cittadinanza vercellese del 1217”. Lo studioso Giovanni Grado Merlo, vede nella venuta in Valsesia di Dolcino anche una scelta dottrinale, riferendola a un passo del Vangelo di Matteo. Secondo Fantoni Dolcino non venne in Valsesia a predicare, ma per insediarsi in un territorio emancipato dal periodo feudale, in cui c’era una società sostanzialmente egualitaria, senza grosse differenze tra ricchi e poveri, multietnica, caratterizzata dalla pacifica convivenza con la popolazione walser, stanziata alle tre testate di valle: “I dolciniani costruirono case, non arrivarono né per predicare, né per combattere”. La repressione passò poi dal piano inquisitoriale a quello militare: è dopo l’arrivo in Valsessera che Dolcino, per la prima volta, costruisce fortificazioni per difendersi e viene assediato.

Un intervento fuori programma, ma tanto ricco ed interessante da includerlo negli Atti, è stato fatto dallo storico novarese Corrado Mornese, che per tanti anni ha affiancato Tavo Burat negli approfondimenti dolciniani, autore di libri fondamentali dedicati a Dolcino e agli Apostolici. Mornese ha invitato a riflettere su “ortodossia” ed “eresia”, che nell’accezione originaria significa “scelta”: “Alla base del cristianesimo c’erano diverse “scelte”, poi venne costruita l’ortodossia, che tendeva a reprimere ed eliminare gli altri cristianesimi: Dolcino si considera perfettamente cristiano, ma viene ereticato. Dolcino torna in Valsesia perché è casa sua, viene accolto dai montanari che vivono in comunità e si reggono con un mutuo patto di sussistenza, godendo dell’autonomia sancita dal trattato di Gozzano del 1275”. Mornese ha concluso ricordando che Dolcino era un intellettuale, autore di tre Lettere che sono dei veri trattati di teologia: “Teologo della storia, che elabora un’originale visione della storia”, mentre purtroppo è sempre stato sottovaluto questo aspetto teorico e teoretico di Dolcino.
Nel pomeriggio i lavori sono ripresi con una relazione di Piera Mazzone, Direttore Biblioteca Civica “Farinne-Centa” di Varallo dedicata alla “Bibliografia Dolciniana”, con la segnalazione delle opere più importanti e dai contenuti più innovativi per leggere la vicenda dolciniana.
Il Professor Gianni Molino, autore degli importanti studi su Campertogno, Rassa e Mollia, ha parlato de: “Il dramma teatrale di Fra Dolcino nella tradizione di Campertogno”, del quale riportò integralmente la trascrizione fatta dal nonno Dottor Ignazio Fornara, in un volume su Campertogno del 1985, ricordando che: “Non è storico, non è religioso, non è politico, ma è folclorico e come tale va letto ed interpretato. In questo dramma si esprime una tradizione popolare, è un evento popolare forte, con valore etnografico, ed impropriamente è stato annoverato fra le Sacre Rappresentazioni”.

Come introduzione al Convegno la sera del venerdì in teatro, con la collaborazione del “Teatro dei Passi” di Borgomanero, era stato letto il copione teatrale tradizionale di Campertogno. Nella relazione c’erano costanti riferimenti all’archivio della Filodrammatica di Camperogno, recuperato e riordinato da Dina Traversaro, a partire dalla fondazione nel 1902 fino al 1952. Il dramma di Fra Dolcino è al centro della tradizione locale, veniva rappresentato con cadenza decennale fino al 1952, ma la tradizione fu riproposta ancora negli anni Sessanta e nel 2008, in occasione del settimo centenario dolciniano. Molino ha anche accennato ai luoghi della rappresentazione, tra i quali la chiesa di San Carlo e poi il teatro sociale, inaugurato proprio con la Rappresentazione di Fra Dolcino nel 1902. La rappresentazione nacque a Riva Valdobbia nel 1851, opera di un ignoto sacerdote, ma il copione originale finora è perduto, mentre la famiglia Gianoli conserva la copia dattiloscritta ed incompleta del Dopo Lavoro di Campertogno, esistono poi altri copioni non datati.

Aldo Fappani, Presidente del Centro Studi Dolciniani con sede a Cossato, ha intitolato il suo ampio ed articolato intervento: “Fra’ Dolcino, tra storia e mito, oblìo, riscoperta e rivendicazioni non soltanto nel Biellese”, sottolineando l’attualità del messaggio degli Apostolici, il “valore storico, etico, culturale, di coerenza della lotta di questi eretici, come messaggio per i posteri”.
I lavori sono stati conclusi dall’organizzatrice e curatrice del Convegno, Dina Traversaro, con una relazione sull’“Iconografia di Fra’ Dolcino”, fatta proponendo le varie rappresentazioni di Dolcino conosciute, basate sulle descrizioni di Benvenuto da Imola, dal Codice Vercellese, e da quelle proposte dal Tonetti nell’Ottocento, che farebbe riferimento ad un dipinto del pittore Bartolomeo Tettoni di Romagnano, presentato in pubblico per la prima volta dalla relatrice, appartenente ad una collezione privata di Campertogno (del quale esiste forse ancora il gemello con il ritratto di Margherita) desunto da pergamene in possesso della famiglia Gianoli, anche l’incisione di Giuseppe Gilardi propone un Dolcino desunto da pergamene in possesso della famiglia Gianoli.

Dina Traversaro, collegando le rappresentazioni ottocentesche del Tettoni, del Gilardi e di Tarquinio Grassi, alla contemporanea presenza nella cultura italiana di Cesare Lombroso, fondatore dell’antropologia criminale, ipotizza che i pittori siano forse stati influenzati da queste teorie.
La ricerca iconografica di Dina Traversaro ha dato risultati numerosi e interessanti che sono stati proiettati e commentati, giungendo fino all’olio e bitume su tela di Sergio Padovani, la rappresentazione meno ideologica, improntata da una ricerca sull’uomo e sulla sua sofferenza.
Al termine dell’intensa giornata, dopo il saluto e i ringraziamenti del Sindaco, rivolti anche al giovane tecnico Silvano Angelino Spagnolo, ai relatori sono stati offerti i Frà Dolcetti, produzione esclusiva per Campertogno ed i tomini Dolcino&Margherita, creati per ricordare la vicenda dolciniana, ed è stata annunciata la pubblicazione degli Atti entro dicembre.

Domenica 17 luglio è stata organizzata una passeggiata storica tra Quare e Rusa, sui passi di Dolcino e degli Apostolici: Dina Traversaro e Miriam Giubertoni hanno accompagnato un gruppetto di persone molto curiose ed attente.

 

Piera Mazzone

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