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“Alle radici del conflitto Israelo-Palestinese”: se ne è parlato al Centro giovanile

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La Parrocchia di Varallo ha organizzato per mercoledì 6 dicembre in oratorio un incontro dal titolo «Alle radici del conflitto Israelo-Palestinese» invitando a parlare Claudio Carofiglio, cooperante della ONG Kenda, che nella prima parte della serata ha fatto una breve analisi storico, sociale e politica per approfondire la questione mediorientale.

Carofiglio, che ha premesso di non essere un biblista né un ricercatore storico, ha vissuto in Palestina tra il 2006 e il 2007, per realizzare progetti ideati dalla ONG pugliese Kenda, condividendo la realtà della vita laggiù e ha chiarito che oggi forse non è più così importante definire chi c’era prima in quei territori ma essere consapevoli che si sta parlando di una terra di poco più grande della Sicilia: la Palestina è divisa in due pezzi, la West Bank, o Cisgiordania, e la Striscia di Gaza: «Uno Stato senza continuità territoriale per il diritto internazionale è inesistente».

Con la risoluzione 181 l’ONU creò due Stati, ma più di metà del territorio venne assegnato agli Ebrei: 420.000 contro 1.710.000 arabi. Ben Gurion il 14 maggio 1948 proclamò unilateralmente la nascita dello Stato di Israele. Con gli anni i coloni israeliani acquisirono sempre nuove terre, sottraendole ai palestinesi: «Lo scrittore ebreo israeliano Ilan Pappé ha scritto un libro intitolato “La pulizia etnica della Palestina” rimettendo in discussione l’analisi delle cause dell’esodo palestinese del 1948, in cui poco meno di un milione di civili arabi furono costretti ad abbandonare le loro case». Solo nel 2005 i coloni furono costretti a lasciare la striscia di Gaza, ma moltiplicarono gli insediamenti in Cisgiordania.

«La vita comunitaria è regolata da leggi comuni che tutti siamo tenuti a rispettare, ma nella realtà non è sempre così: Israele non ha ottemperato alle richieste fatte dall’ONU di restituire i territori acquisiti nel 1967 con la guerra dei sei giorni».

Le immagini del muro lungo 730 km costruito da Israele in Cisgiordania a partire dalla primavera del 2002, ridisegnato più volte a causa di pressioni internazionali, sono davvero impressionanti: lo Stato di Israele lo considera un mezzo di difesa dal terrorismo, i palestinesi lo ritengono uno strumento di segregazione razziale.

Oggi l’obiettivo di Israele è quello di distruggere Hamas a ogni costo, anche provocando migliaia di vittime civili tra la popolazione di Gaza. E’ un obiettivo irraggiungibile, sappiamo bene che si abbatte l’albero, ma le radici restano nel terreno, ma, almeno per una parte di israeliani, è la sola risposta possibile al massacro del 7 ottobre, ai duecento ostaggi rapiti.

Per noi occidentali resta qualcosa di inaccettabile. Ernesto Galli Della Loggia scrive che «Israele ricorda a noi occidentali quello che siamo, che non vogliamo o non sappiamo più essere»: sono venuti a mancare il senso della comunità, il senso civico, la disponibilità al sacrificio personale e questo «primato di moralità» degli israeliani imbarazza, creando una sorta di fastidio che induce l’opinione pubblica europea a rimuovere e a dissociarsi nei confronti dell’operazione militare israeliana.

Scopo della serata non era trovare chi ha ragione ma fare un esame della situazione per porre le premesse per una soluzione, purtroppo mancava una voce israeliana che ci raccontasse la quotidianità di un paese che ha sempre vissuto «in difesa».

E tu cosa ne pensi?

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