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«Covid 19. L’Ospedale in tempo di pandemia»: il libro presentato in biblioteca a Varallo

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VARALLO – «Covid 19. L’Ospedale in tempo di pandemia» è stato presentato in Biblioteca a Varallo sabato 9 luglio. Dopo il saluto dell’assessore alla Cultura Enrica Poletti e del presidente del Consiglio di Biblioteca Aristide Torri, si è susseguita una serie di interventi per trasmettere ricordi ed emozioni, di quei giorni. Certi “eventi” hanno cambiato le nostre vite, modificando profondamente abitudini, minando certezze che parevano acquisite per sempre.

Quella «maledetta primavera» 2020, non la dimenticheremo: già ora, per collocare cronologicamente fatti o situazioni, si dice «prima del Covid» e «dopo il Covid». In Biblioteca il Covid ci costrinse a trasferire il servizio del prestito libri in cortile, allestimmo scaffali di novità nell’entrata, approntammo cassette giornaliere per riporre i libri «in quarantena», i nostri utenti cominciarono ad usare con maggior frequenza il catalogo on-line, noi operatrici, protette da un plexiglass trasparente, cercavamo di comunicare trasmettendo fiducia e proponendo sempre nuove letture: ci sentivamo talvolta boe sballottate dai marosi, ma anche bitte in grado di offrire ancoraggi sicuri.

La fotografa vercellese Lella Beretta in quei primi giorni di marzo si trovò improvvisamente disoccupata e si chiese cosa potesse fare per testimoniare quanto stava accadendo. Si accinse quindi a realizzare il suo primo «réportage di guerra», entrando in ospedale e assistendo a tutte le fasi che seguivano al ricovero di un paziente Covid. Il suo progetto fu approvato dalle autorità sanitarie e si trovò immersa in una realtà che definì da «girone dantesco»: fotografò l’attesa, la speranza, la fatica, il dramma.

Il libro termina con l’arrivo dei vaccini, le fotografie trovano un naturale complemento nelle testimonianze delle persone che, a vario titolo, nei due ospedali erano coinvolte nell’attività contro il Covid, che si sono impegnate a raccontare ciò che era stato. E’ nato un «libro della memoria» come l’ha definito Germano Giordano, presidente dell’Ordine dei Medici, sottolineando la solidarietà e la collaborazione spontanea e incondizionata di tutti i colleghi.

Gualtiero Canova, direttore Dipartimento Chirurgico ASL VC, ha ricordato il disappunto che lo colse di fronte alla presenza di una fotografa in reparto un momenti tanto drammatici, ma poi comprese la necessità di dover testimoniare ciò che stava succedendo: «Forse avrei preferito un libro già consegnato alla storia, perché purtroppo il “dopo Covid” non c’è ancora».

Per Giovanni Lo Giudice, dirigente medico Medicina Interna Borgosesia, questo è «il» libro sul Covid, che documenta diverse tipologie di emozioni: «Siamo stati precipitati in una realtà distopica in cui abbiamo perso tutte le nostre certezze. Oggi mi sento un po’ come i reduci che guardano le foto di guerra, ma in realtà non ne siamo ancora usciti». «Il Renato, non era il paziente della 25, ma una persona, un omone, che si era beccato il virus in maniera tale che tutte le nostre armi, dall’ossigeno con le cannule nasali, all’emogas, alla Cpap, si spuntavano, il Renato finì in rianimazione, ma riuscì a vivere e oggi lo considero il mio miglior risultato»: così si è espresso Roberto Miceli, dirigente medico Medicina Interna Borgosesia, pneumologo, la cui fiducia nella scienza, confessa, in quel caso particolare, si era pericolosamente incrinata. In tutti gli interventi dei medici è emersa con forza la necessità di ricordare ciò che è avvenuto: righe gialle invalicabili, tute spaziali, occhialoni, visiere, il nome scritto per riconoscersi, tutti uniti contro quel nemico che pareva essere invincibile e onnipresente.

Al termine sono state portate le testimonianze di due pazienti: Giulio Pretti di Vercelli e Giovanni Bertolini di Varallo. Giulio Pretti, già funzionario dell’Amministrazione provinciale, trentasei anni in carcere ad aiutare i detenuti, fu tra i primi a essere contagiato, entrò in ospedale a marzo, ne uscì a luglio: «Voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno accolto, curato, sostenuto, con grande umanità». «Il cubo di Rubik è l’oggetto che per me rappresenta in maniera più efficace i differenti punti di vista su quanto è accaduto: eravamo tutti compagni di crociera su una nave che stava andando alla deriva, ma validi capitani sono riusciti a ricondurla in porto»: Giovanni Bertolini ricorda il difficile momento dei saluti con i familiari, la cesura tra prima e dopo, e la «raccolta della carta», quei lunghissimi venti minuti di elettrocardiogramma monitorato necessari per dichiarare un paziente morto.

Dignità, empatia, positività sono concetti che si sono tutti tradotti in atti concreti: alla presentazione sono state vendute alcune copie del volume e il ricavato della vendita si sommerà a quanto già è stato raccolto per acquistare due compressori automatici per la rianimazione cardio-polmonare (RCP).

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