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Lievito di birra

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Tra giugno e luglio, complice una squadra di intrepidi che aveva deciso fosse arrivata l’ora di uscire allo scoperto, i nostri figli, bambini e ragazzi in età scolare ormai da fine febbraio relegati in casa davanti a un pc (per essere ottimisti), a un tablet (e siamo ancora fiduciosi), a un cellulare (ecco: l’impreparazione generale diventa fatto conclamato) erano finalmente riusciti a rivedersi.
Da qui a lì, sempre a distanza, perché le regole sono regole e vanno rispettate, ma reale e non più virtuale: grazie ai centri estivi, scrupolosamente organizzati, i nostri bambini e ragazzi si erano potuti incontrare di nuovo.
A un metro, certo, ma di fronte, dal vivo, non separati dal filtro di un supporto informatico. Più vicini: finalmente. Sì, finalmente.
Un mese e mezzo circa di scuola, e siamo di nuovo al palo.
Per i più, si ricomincia con la DAD.
La DAD… Didattica A Distanza, lezioni diffuse nell’etere, voci lontane, mille volti di adolescenti impazienti e belli come il sole che bucano il video cercando un contatto.
Con quel desiderio di condividere che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Sorrisi repressi quando la webcam ti inquadra e che ti lasciano il riverbero della complicità.
Peccato. Peccato davvero.
Che si siano dimenticati di voi. Che vi abbiano dati per scontati. Che si sia immaginato, tutti noi adulti sempre troppo presi dietro alle nostre storie, di lasciarvi confrontare in solitaria con le vostre risorse, ché tanto siete giovani e avete tutta la vita davanti e un sacco di occasioni per metabolizzare e comprendere e recuperare.
Avrebbero potuto (di mesi ne sono trascorsi, e sono trascorsi anche i proclami) potenziare gli ospedali, la sanità in generale, il sistema dei trasporti… investiteli lì, mannaggia, i soldi. Avrebbero potuto mettere in sicurezza (fisica e psicologica) la Scuola, proteggerla, circondarla di cure e di affetto. In realtà, considerate le premesse (le promesse) e i preamboli, avrebbero dovuto, ce lo saremmo aspettato. Invece, ed è lì da vedere, sintomo di un disagio grande e profondo, di una incapacità esponenziale e disarmante, poco o nulla è stato fatto.
Alla fine si è scelto (o ci si è passivamente rassegnati) di de-potenziare la scuola, de-legittimare il ruolo di studenti e quindi di giovani cittadini che affermano il diritto a essere formati e a crescere esprimendo pensieri e considerazioni; di de-motivarli, gli alunni di ogni ordine e grado. Di mortificarli nel desiderio esplosivo e meraviglioso, fuori d’ogni dubbio provato ed espresso in modi diversi da ciascuno di loro, di apprendere: insieme, scambiandosi momenti importanti, emozionanti, indimenticabili.
Perché gli anni vissuti in classe sono destinati a tornare ciclicamente e a darci una scossa quando meno ce l’aspettiamo. Invece no, nessun occhio di riguardo, nessuna attenzione, seppur minima, per la scuola e chi la vive, la fa, la completa, la rende eterna e perfetta nella sua missione. Abbiamo avuto, hanno avuto, i nostri figli, bambini e ragazzi, tanta e tanta pazienza. Che però adesso si è esaurita. Funziona un po’ come il lievito di birra: speriamo di trovarne ancora, di metterne da parte per usarlo quando serve, di farlo agire.
Però gli scaffali sono vuoti, ce n’è più.

Luisa Lana

Immagine di repertorio

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