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Rima: la lunga storia del marmo finto e la ricerca sulle origini dei Walser

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RIMA – Il 18 agosto 2021 a Rima era stato presentato “Omaggio a Rima”, il primo di una serie di contributi monografici dedicati alle genti Walser che diedero origine al paese.

Quest’anno nella stessa data, nella Sala Frazionale, alla presenza del Sindaco, Giuliana Marone e del vescovo Franco Giulio Brambilla, e di un numeroso pubblico, sono stati presentati i risultati di importanti ricerche, durate anni, che rivoluzionano le conoscenze che finora si consideravano acquisite.

Roberto Sacchi, Presidente dell’Associazione Laboratorio del marmo artificiale di Rima – nato a metà degli anni Novanta, animato dal compianto Maestro Silvio Della Vedova, che oggi ha trovato validi continuatori, che portano avanti attraverso eventi, corsi e laboratori, la storia di questa peculiarità dei Walser di Rima – ha aperto la serata ringraziando gli intervenuti ed i relatori, preannunciando per il prossimo incontro l’esposizione dei frutti di una ricerca condotta negli archivi parrocchiali per verificare le presenze dei rimesi in paese e quindi, per differenza, le assenze per i qualificati lavori nelle principali corti europee.

Hanzi Axerio Cilies, Presidente Walser Gruppe di Rima, discendente diretto di Pietro Axerio Cilies, ha presentato le ultime ricerche sulla storia del marmo finto di Rima, sottolineando che è meglio utilizzare questa locuzione, piuttosto che quella di “marmo artificiale” che evoca qualcosa di non naturale, di scadente. Nel 2010 Hanzi aveva partecipato alla redazione del prestigioso volume: La via del marmo artificiale.

Da Rima a Bucarest in Romania tra Otto e Novecento, e proprio quelle ricerche furono la leva che lo indusse a ricercare e ad approfondire ulteriormente una storia della quale sono state protagoniste tutte le antiche famiglie rimesi. Proiettando suggestive immagini il relatore ha mostrato l’evoluzione di questa raffinata tecnica antichissima, che troviamo già attestata nelle sontuose ville pompeiane.

Il marmo finto conobbe un momento di rinnovato interesse alla fine del Cinquecento, alla corte del Duca di Baviera Massimiliano I, che era stato affascinato dalle Cappelle Medicee di Firenze, tanto da incaricare Mastro Blasius Pfeiffer di portare quella tecnica alla sua corte. In Italia, ai primi del Seicento, esistevano diverse botteghe di marmo finto, in Emilia, Romagna e Toscana, con una committenza soprattutto ecclesiastica. Le botteghe del Comasco, Alto Lario, Valle d’Intelvi, Lombardia e Piemonte, realizzavano opere per committenze diverse. Hanzi si è quindi chiesto quando i Rimesi abbiano iniziato a fare il marmo finto, cercando di fare delle supposizioni sulla base dei documenti disponibili.

L’emigrazione dei rimesi iniziò a metà Settecento, fu massiccia nell’Ottocento, sfumò nel Novecento, estinguendosi dopo la seconda guerra mondiale: attraverso i passaporti è possibile desumere le professioni e vedere l’evoluzione da gessatori, decoratori a maestri del marmo finto.
Rima chiese di staccarsi dalla parrocchia di Rimasco nel 1620 e la Curia di Novara rispose imponendo di costruire una nuova chiesa, descritta finita dal parroco Giovanni Giordano nel 1697. La Curia novarese poi pretese che si costruisse un nuovo altare, perché il vecchio altare ligneo era considerato inadeguato per il nuovo, grandioso, edificio sacro.

Su progetto di Giovanni Di Paolo l’altare fu ultimato nel 1820: “Perché i rimesi non lo decorarono con il marmo finto? Forse ancora non si sentivano pronti per affrontare un progetto tanto impegnativo? Il crinale per collocare l’avvio del marmo finto, può essere considerato proprio la posa dell’altare di Rima, i primi anni dell’Ottocento furono l’inizio, almeno fino a quando non si troveranno documenti che attestino cose diverse”. Axerio ha concluso il suo apprezzato intervento ricordando che i grandi rimesi dell’Ottocento, De Toma, Axerio Piazza, Axerio Cilies, erano impresari edili prestigiosi: “Gli Axerio gestivano tremila dipendenti divisi i tre squadre: una, composta tutta da rimesi, faceva il marmo finto, poi c’erano gli stuccatori provenienti da scuole d’arte e la terza realizzava i pavimenti veneziani”.

Nella seconda parte della serata Enrico Rizzi, il massimo studioso dei Walser, autore di oltre centottanta pubblicazioni, ha ripercorso “Il lungo viaggio dei Walser”, esponendo i risultati delle ricerche seguite all’ipotesi di una origine dei walser tra i popoli del nord, sassoni e vichinghi, formulata dal Professor Sergio Maria Gilardino dodici anni fa, basandosi sulle sue ricerche linguistiche.

Rizzi è risalito prima del Goms, all’Oberland bernese: “La parte alta di questa valle era popolata da Sassoni, coloni svedesi, le cui tracce si trovano nel preambolo del libro degli Statuti, datato 1534. Queste origini svedesi interessarono il re di Svezia nell’Ottocento e fu anche fatto un Congresso a Uppsala”. Rizzi, ricordando le argomentazioni linguistiche ipotizzate da Gilardino, ha poi segnalato l’utilizzo da parte delle famiglie Walser delle rune, che gli alemanni avevano perso nel VI-VII secolo, a seguito della cristianizzazione, mentre in Scandinavia l’alfabeto runico rimase in uso fino all’Ottocento. La colonizzazione Walser si colloca tra l’inizio del 1200 e arriva al 1300.

Esistono poi dei toponimi di chiara derivazione norvegese, che non sono conosciuti tra gli alemanni, come “Vogelsang” che il linguista Paul Zinsli definì: “Masso rotolato dalla Norvegia e finito nelle Alpi”. Rizzi ha poi citato alcune indagini fatte da scienziati svizzeri sul sangue, che li avrebbe portati ad affermare che quello walser è il perfetto tipo di sangue del nord Europa: “Le indagini genetiche potranno darci risposte definitive”. Da Rima, dalla casa del marmo finto, siamo partiti per il nostro lungo viaggio alla ricerca delle origini dei Walser, ora cercheremo, con l’aiuto del Professor Rizzi, attraverso successivi articoli, di spiegare tutti gli elementi che farebbero propendere per un’ipotesi di origine legata al Grande Nord.

 

Piera Mazzone

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